Si è concluso con una netta rottura il tavolo di confronto tra il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) e le organizzazioni sindacali del comparto Istruzione e Ricerca. Al centro del contendere, le nuove procedure per la mobilità del personale delle istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) per l’anno accademico 2025/26. La proposta presentata dall’amministrazione lo scorso 23 maggio è stata giudicata irricevibile dai sindacati, che hanno denunciato un approccio unilaterale e dannoso per i lavoratori del settore, aprendo una fase di alta tensione.
AFAM: la proposta unitaria dei sindacati
Di fronte alla posizione del Ministero, le sigle sindacali (CISL FSUR, FLC CGIL, UIL SCUOLA RUA, SNALS CONFSAL, GILDA UNAMS, ANIEF) avevano presentato un documento unitario. La richiesta principale era di rinviare di un anno, all’anno accademico 2026/27, l’applicazione delle nuove norme sulla mobilità AFAM. I sindacati hanno inoltre sottolineato la necessità di assumere a tempo indeterminato su tutti i posti vacanti e di non far pesare la mobilità sul budget assunzionale delle singole istituzioni, dato che i costi sono già coperti a livello di sistema nazionale.
Il no del ministero e le basi normative
L’amministrazione ha respinto integralmente le richieste sindacali. Il MUR sembra intenzionato a procedere unilateralmente, forte del nuovo DPR 83/24, ritenendo che le norme in esso contenute siano immediatamente applicabili senza la necessità di un accordo. Questa interpretazione, tuttavia, è fortemente contestata dalle organizzazioni dei lavoratori. Secondo i sindacati, l’atteggiamento del Ministero è irrispettoso delle prerogative sindacali e si scontra con quanto previsto da altre normative vigenti.
Lo scontro legale e contrattuale
La FLC CGIL, in particolare, ha evidenziato come il D.Lgs. 165/01 affidi alla contrattazione collettiva il compito di integrare i criteri generali sulla mobilità. Anche il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto Istruzione e Ricerca rimanda al confronto nazionale la definizione di tali aspetti. Risulta quindi legalmente discutibile che l’amministrazione possa imporre procedure in modo unilaterale, anche in presenza di un regolamento come il DPR 83/24, scavalcando di fatto l’accordo tra le parti.
Le conseguenze per i lavoratori
La situazione attuale viene definita dai sindacati una “commedia dell’assurdo”. La quasi totale eliminazione del diritto alla mobilità avverrebbe nonostante la pianta organica nazionale sia interamente finanziata con fondi ministeriali. Un trasferimento tra istituti, quindi, non comporterebbe alcun costo aggiuntivo per lo Stato. Le nuove procedure sulla mobilità, basate su presupposti definiti “finti”, rischiano di penalizzare soprattutto i lavoratori più fragili, che vedrebbero compromessa una fondamentale garanzia contrattuale.
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