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Assegno d’invalidità: la Corte Costituzionale apre al minimo garantito per i pensionati contributivi

La Corte Costituzionale estende il diritto all’assegno d’invalidità minimo anche ai pensionati nel regime contributivo, eliminando una storica disparità.

Con la sentenza n. 94/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima l’esclusione dall’integrazione al minimo per gli assegni ordinari d’invalidità nel sistema contributivo. Un passo epocale che abbatte una disparità durata quasi trent’anni e coinvolge circa un milione di beneficiari.

La decisione della Corte Costituzionale: parità per tutti i lavoratori invalidi

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94/2025, ha stabilito che anche i lavoratori nel regime contributivo hanno diritto all’integrazione al minimo dell’assegno ordinario d’invalidità. Fino ad oggi, questo diritto era riservato solo a chi aveva versato contributi prima del 31 dicembre 1995, rientrando quindi nel regime retributivo o misto.
La Corte ha accolto un ricorso sollevato dalla Corte di Cassazione, dichiarando incostituzionale la riforma Dini (legge n. 335/1995) nella parte in cui negava questo diritto, aprendo così un nuovo capitolo nella tutela previdenziale.

Un milione di pensionati coinvolti: quanto spetta e da quando

L’integrazione al minimo garantisce un assegno mensile non inferiore a 603,40 euro. Con la nuova sentenza, anche i pensionati che rientrano esclusivamente nel regime contributivo potranno beneficiare di questa soglia.
Tuttavia, l’adeguamento non sarà retroattivo: scatterà solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale.
L’INPS aveva evidenziato che un riconoscimento con effetto retroattivo avrebbe comportato un aggravio finanziario insostenibile per le casse pubbliche.

Cos’è l’assegno ordinario d’invalidità e chi ne ha diritto

L’assegno ordinario d’invalidità (AOI) è una prestazione previdenziale erogata dall’INPS a favore dei lavoratori dipendenti, autonomi e iscritti alla gestione separata che:

  • Abbiano versato almeno cinque anni di contributi, di cui tre nei cinque anni precedenti la domanda;
  • Abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa a meno di un terzo, a causa di infermità fisiche o mentali.

L’importo dell’assegno viene determinato sulla base dei contributi versati. Fino a oggi, però, solo i lavoratori del regime retributivo o misto potevano ricevere l’integrazione al minimo nel caso in cui la somma spettante risultasse inferiore alla soglia legale.

Perché la riforma Dini è stata dichiarata incostituzionale

La riforma Dini del 1995 aveva escluso i lavoratori del sistema contributivo dall’integrazione al minimo, con la motivazione di preservare la sostenibilità del sistema previdenziale.
Ma la Corte Costituzionale ha rigettato questa impostazione, sottolineando che:

  • L’assegno d’invalidità è una prestazione rivolta a persone in condizioni di grave bisogno;
  • L’integrazione è finanziata dalla fiscalità generale, e non pesa direttamente sul sistema contributivo;
  • L’invalidità può colpire ben prima dei 67 anni, età per accedere all’assegno sociale, rendendo inaccettabile l’attesa o l’esclusione di chi ha versato contributi solo in epoca contributiva.

La Corte ha quindi stabilito che l’equiparazione dell’assegno d’invalidità alle pensioni ordinarie contributive era ingiustificata e discriminatoria.

Una svolta di civiltà: diritti uguali per tutti

La sentenza n. 94/2025 rappresenta una svolta fondamentale nei diritti previdenziali dei lavoratori invalidi, introducendo finalmente un principio di uguaglianza sostanziale tra chi ha lavorato prima e dopo la riforma del 1995.
Per i lavoratori più giovani e per chi ha versato contributi solo nel regime contributivo, si tratta di un riconoscimento atteso da anni.
La decisione sancisce un principio chiaro: lo stato di bisogno causato da invalidità merita tutela piena, indipendentemente dal sistema pensionistico di appartenenza.

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