HomeLavoroStipendiDecontribuzione, effetto boomerang secondo Elsa Fornero: 'giù il potere d'acquisto degli stipendi'

Decontribuzione, effetto boomerang secondo Elsa Fornero: ‘giù il potere d’acquisto degli stipendi’

La decontribuzione, pensata per aumentare gli stipendi netti, rischia di penalizzare alcune categorie di lavoratori. Elsa Fornero parla di effetto boomerang.

La decontribuzione doveva aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori, ma ha innescato effetti imprevisti. Elsa Fornero spiega come, in alcuni casi, il vantaggio salariale si sia trasformato in un aumento delle tasse, alimentando il dibattito su pensioni, salari e sostenibilità previdenziale.

L’aumento dell’aspettativa di vita e l’impatto sulla pensione

Secondo l’ISTAT, nel 2024 si è registrato un incremento di cinque mesi nell’aspettativa di vita dei sessantacinquenni rispetto al 2023. Questo dato, apparentemente marginale, ha attivato il meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile previsto dalla riforma Fornero, con effetti che si vedranno a partire dal 2027. Gli italiani, dunque, dovranno lavorare più a lungo, mentre il sistema previdenziale punta a mantenere la propria sostenibilità finanziaria. Nel corso di una recente intervista su La7, Elsa Fornero ha commentato anche i risvolti della decontribuzione, evidenziando come una misura nata per sostenere i redditi si sia trasformata, in alcuni casi, in un boomerang economico.

Cos’è la decontribuzione e perché può penalizzare i lavoratori

Il meccanismo della decontribuzione è semplice: alleggerire i contributi previdenziali a carico dei dipendenti per aumentare il loro stipendio netto. Tuttavia, questo beneficio ha portato a un effetto collaterale inatteso. L’aumento del reddito netto ha spinto alcuni lavoratori in scaglioni fiscali più alti, a causa delle nuove aliquote IRPEF. Il risultato? Il guadagno ottenuto è stato annullato, o persino superato, da un carico fiscale maggiore. Elsa Fornero ha spiegato che, pur avendo effetti positivi immediati, la decontribuzione ha finito per provocare un aggravio fiscale per molti lavoratori, che si sono ritrovati con stipendi addirittura inferiori rispetto alla situazione precedente.

Le categorie più penalizzate dalla decontribuzione

Non tutti i lavoratori hanno subito gli stessi effetti negativi. I più penalizzati sono:

  • Dipendenti pubblici, che in alcuni casi hanno registrato una riduzione del netto mensile fino a 80 euro.
  • Lavoratori con redditi tra 32.000 e 40.000 euro annui, colpiti da una pressione fiscale effettiva che può arrivare al 52%.
  • Chi percepisce stipendi molto bassi, tra 8.500 e 9.000 euro l’anno, che ha visto una perdita netta di circa 1.200 euro annui.

Queste criticità dimostrano quanto sia delicato il bilanciamento tra equità fiscale, incentivi al lavoro e sostenibilità economica. Ogni intervento fiscale o contributivo deve essere attentamente valutato per evitare che misure di supporto si trasformino in penalizzazioni involontarie.

Verso una decontribuzione più sostenibile e coordinata

Alla luce degli effetti emersi, è necessario ripensare la decontribuzione all’interno di una strategia più ampia. Le politiche fiscali e previdenziali devono essere coordinate, evitando che interventi pensati per favorire il reddito finiscano per danneggiare alcune fasce di lavoratori. Un sistema più equo e sostenibile deve prevedere valutazioni d’impatto dettagliate, monitoraggi costanti e interventi correttivi tempestivi. Anche l’adeguamento dell’età pensionabile, basato sull’aumento della vita media, richiede una visione d’insieme che sappia coniugare efficienza finanziaria e giustizia sociale, andando oltre le soluzioni d’emergenza.

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