Giovani e libertà: l’allarme di Crepet sulla tecnologia

Paolo Crepet avverte: siamo meno liberi di trent’anni fa, non per i regimi ma per le tecnologie digitali. Invoca dai giovani una ribellione quotidiana

23 settembre 2025 14:59
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Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, lancia un monito: oggi siamo meno liberi di trent’anni fa non per colpa di dittatori ma delle tecnologie digitali che plasmano i nostri comportamenti. Il rischio non è teorico ma quotidiano: si manifesta nelle nostre scelte, nelle emozioni e nel bisogno di consenso che i social alimentano.

Crepet: libertà formale e libertà interiore

Crepet distingue fra libertà come diritto formale – la possibilità di esprimere un’opinione – e libertà come capacità interiore di pensare in autonomia. Secondo lui oggi possiamo parlare molto e in apparenza dire tutto, ma restare intrappolati in confini invisibili, comunicando in forme preconfezionate e già approvate dal meccanismo di approvazione collettiva che i social network alimentano. L’erosione della libertà non avviene con la censura esplicita, bensì attraverso l’adesione a modelli imposti dalla rete che condizionano il linguaggio e l’immaginario. Per Crepet, il nodo sta nella consapevolezza: senza un pensiero autonomo, la libertà formale rischia di svuotarsi.

Il consenso come nuovo controllo

Quando afferma che siamo meno liberi di trent’anni fa, Crepet non intende una semplice nostalgia del passato. Trenta anni fa mancavano molte garanzie che oggi diamo per scontate, ma allora non esisteva la stessa pressione del consenso che caratterizza la comunicazione contemporanea. “Oggi – spiega – è difficile parlare senza cercare audience o approvazione”. La paura non è più quella di sbagliare, ma di essere ignorati, non condivisi, non visualizzati. Questo meccanismo di conferma esterna diventa una nuova forma di controllo sociale che scivola dentro le nostre vite con apparente neutralità. È un sistema che non reprime, ma orienta; non punisce, ma premia la conformità.

L’appello alla ribellione dei giovani

In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta una tecnologia ancora più pervasiva: orienta decisioni, percezioni, emozioni senza imporre nulla, perché funziona per adesione spontanea. Crepet avverte: “non chiede permesso: entra e cambia anche il nostro modo di pensare”. Il cambiamento avviene per attrazione e quindi è più difficile da riconoscere. Tuttavia il punto centrale del suo discorso non è solo la denuncia ma l’attesa. Lo psichiatra invoca una ribellione dei giovani, non ideologica ma educativa ed esistenziale: un gesto quotidiano che parte dalla scuola, dalla famiglia e dalle relazioni, per affermare la propria autonomia mentale e non delegare automaticamente i processi di pensiero a un algoritmo. Non si tratta di opporsi alla tecnologia in sé, ma di resistere alla dipendenza invisibile che ne deriva.

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