Il Governo Meloni accelera sull’approvazione di una nuova legge sull’equa retribuzione, spingendo una misura che evita l’introduzione del salario minimo a 9 euro lordi l’ora. La ministra del Lavoro Marina Calderone ha dichiarato che il testo della legge delega tornerà in Aula entro la fine di maggio. Il centrodestra intende così contrastare la proposta popolare sostenuta da Pd, M5S e AVS, presentata nel 2023, che invece fissava una soglia minima chiara. Dopo aver bocciato quella proposta, il Governo ha riscritto la normativa, trasformandola in una legge delega senza soglia fissa.
Cosa prevede davvero la legge sull’equa retribuzione
La nuova normativa stabilisce criteri generali che il Governo dovrà attuare tramite decreti legislativi. In particolare, il testo identifica i contratti collettivi nazionali più applicati per ciascun settore e li utilizza come riferimento per fissare la retribuzione minima. Chi non rientra in una categoria coperta da contrattazione collettiva riceverà lo stipendio previsto dal contratto più affine. Inoltre, la legge introduce incentivi per favorire il rinnovo dei CCNL nei tempi stabiliti e punta a rafforzare la trasparenza e i controlli sulle retribuzioni e sui contratti.
Una strategia di compromesso per evitare il salario minimo legale
Il Governo ha scelto un compromesso: evitare l’obbligo di una soglia minima per tutti, preferendo un sistema ancorato ai contratti collettivi. Questa decisione consente alla maggioranza di affermare di aver affrontato il problema dei bassi salari senza imporre il salario minimo legale. Tuttavia, questa scelta lascia fuori milioni di lavoratori sottopagati, soprattutto nei settori non coperti da contratti forti o aggiornati. Molti sindacati e opposizioni temono che questa via non garantirà davvero una retribuzione dignitosa a tutti.
Il rischio concreto di una retribuzione ancora più frammentata
Senza una soglia oraria vincolante, il panorama delle retribuzioni italiane rischia di diventare ancora più confuso. Il principio dell’equa retribuzione, in teoria positivo, si scontra con la realtà di contratti disallineati, rinnovi mancati e controlli carenti. Mentre in gran parte dell’Europa i lavoratori contano su un salario minimo legale, l’Italia continua a puntare su strumenti indiretti, difficili da applicare e poco trasparenti. In questo scenario, la nuova legge rischia di rafforzare le disuguaglianze invece che ridurle.
Una riforma in bilico tra promesse e risultati concreti
Il Parlamento ora attende di chiudere l’iter legislativo entro poche settimane. Intanto, milioni di lavoratori rimangono senza una tutela salariale universale. La scelta del Governo potrebbe rivelarsi solo una mossa politica, utile a placare le critiche, ma incapace di produrre effetti tangibili. Se la nuova normativa non porterà a un reale miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori, il salario minimo resterà una promessa tradita. E gli italiani comprenderanno chi ha davvero difeso il diritto a uno stipendio dignitoso.
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