Quando gli adolescenti si chiudono, il silenzio diventa un ponte da costruire con pazienza, non un muro da abbattere. Ci sono adolescenti che parlano poco e ce ne sono altri che non parlano affatto. Né a scuola, né a casa. Non si confidano, non raccontano, sembrano sordi alle domande. Ma non sono vuoti, sono pieni di paure, pensieri, confusione e spesso, dietro quel silenzio, si nasconde un desiderio profondo: essere ascoltati senza essere spinti.
In un’epoca che pretende velocità, espressione immediata, trasparenza continua, il silenzio diventa uno spazio di resistenza, una forma antica e potente di comunicazione che chiede all’adulto non soluzioni, ma una diversa qualità della presenza.
Il silenzio degli adolescenti non è sempre chiusura
Il silenzio può far paura a chi educa. Può sembrare un fallimento, maa non tutto ciò che tace è ostile. Alcuni ragazzi scelgono il silenzio per proteggersi, altri perché non hanno ancora trovato parole sufficienti. Quando un adolescente tace, non sta necessariamente rifiutando l’adulto: sta cercando uno spazio sicuro dove poter essere senza dover spiegare tutto subito. È come se stessero cercando il proprio ritmo, in un mondo che li sovrastimola. Lasciare che quel silenzio respiri significa offrire fiducia, senza condizioni, perché il linguaggio dell’anima, a volte, ha bisogno di più tempo per emergere. Il silenzio non è un muro da scalare, ma una soglia da rispettare.
Le parole che forzano chiudono ancora di più
“Perché non parli?”, “Cosa c’è che non va?”, “Dimmelo!”.
Domande che, pur mosse da amore e preoccupazione, rischiano di suonare come pressioni o interrogatori. Un adolescente che si sente “costretto a parlare” potrebbe reagire con maggiore chiusura, ironia, o isolamento, invece di “tirare fuori”, proviamo a stare accanto. Sediamoci nel silenzio senza riempirlo. Offriamo una presenza stabile, non giudicante, che rassicura anche senza parole. A volte basta dire: “io sono qui”. Senza spiegazioni, senza obiettivi. È una frase semplice, ma potente, perché libera l’altro dalla performance del raccontarsi.
Adolescenti: il corpo e i gesti parlano prima della voce
Gli adolescenti parlano con lo sguardo, con il corpo, con le omissioni. Un cambio nei ritmi del sonno, una chiusura in camera, un gesto evitante… sono modi per comunicare.
Educatori e genitori possono imparare a “leggere tra le righe”, decodificando quei silenzi come tentativi di elaborazione, non solo come rifiuto. Una carezza sulla spalla, una cena lasciata sul tavolo, una passeggiata fatta insieme in silenzio, valgono più di cento domande. I ragazzi ci dicono chi sono anche quando non parlano. Ci raccontano i loro vuoti, i loro sogni, le loro fragilità attraverso piccoli gesti e sta a noi affinare l’ascolto non solo delle parole, ma di quei micro-movimenti che rivelano interi mondi interiori.
La fiducia non si chiede: si costruisce
Il tempo dell’adolescente non coincide mai con quello dell’adulto.
La fiducia non nasce per decreto, ma per prossimità ripetuta, presenza discreta, ascolto autentico. Un adulto che sa aspettare, che non forza ma resta, permette al ragazzo di aprirsi quando è pronto, non quando viene pressato. È un lavoro invisibile, fatto di piccoli gesti quotidiani. Di sguardi che non spingono, ma accompagnano. Di silenzi che non pesano, ma avvolgono. È lì che la fiducia germoglia, non è “lasciar fare”, ma educare con delicatezza.
Educare anche nel silenzio
Educare un adolescente significa accettare la complessità dei suoi silenzi. Non sempre ci sarà dialogo, ma può esserci sempre relazione. Il silenzio non è la fine della comunicazione: può essere il terreno in cui nasce un linguaggio nuovo, più profondo, più vero. A volte, le parole arriveranno. Altre volte no. Ma chi educa non deve collezionare risposte, deve offrire presenza. Ed è proprio in quell’offerta silenziosa, in quella costanza gentile, che si costruiscono le relazioni più forti: quelle che non hanno bisogno di essere spiegate, perché si sentono nella pelle, nel cuore, nel respiro condiviso.
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