Incompatibilità lavorative: cosa c’è da sapere – Nel pubblico impiego vige il principio dell’obbligo di esclusività, sancito dall’art. 98 della Costituzione, secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Questo principio ha lo scopo di garantire imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e impedire che il dipendente sia influenzato da interessi esterni.
Normativa di riferimento per i casi di incompatibilità lavorative nel pubblico impiego
La normativa di riferimento è il D.P.R. n. 3/1957, richiamato dal D.Lgs. n. 165/2001, che all’art. 53 estende le incompatibilità lavorative a tutti i dipendenti pubblici. Sono previste eccezioni per particolari categorie, come i dipendenti part-time con orario ridotto al 50% e i docenti universitari a tempo definito. Il personale scolastico, pur soggetto alle stesse regole, può esercitare libere professioni solo se autorizzato e nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 508 del D.Lgs. n. 297/1994.
Tipologie di attività: divieti, eccezioni e necessità di autorizzazione
Secondo la giurisprudenza, le attività incompatibili si suddividono in tre categorie: quelle assolutamente vietate, come il commercio, l’industria e gli incarichi in società a scopo di lucro (salvo autorizzazione statale); quelle consentite senza autorizzazione, come la docenza occasionale, le attività di ricerca, la partecipazione a convegni, o la collaborazione editoriale; e quelle consentite previa autorizzazione, per cui serve un nulla osta specifico ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico. In ogni caso, anche il personale scolastico part-time deve comunicare l’eventuale secondo impiego al dirigente scolastico per la verifica di assenza di conflitto di interessi.
Violazione dell’obbligo di esclusività: decadenza e procedura disciplinare
La violazione dell’obbligo di esclusività può comportare due conseguenze distinte: la decadenza dal rapporto di lavoro e la sanzione disciplinare. Secondo l’art. 63 del D.P.R. n. 3/1957, in caso di incompatibilità, il dipendente è prima diffidato a cessare l’attività non conforme. Se entro 15 giorni non vi è adeguamento, scatta automaticamente la decadenza, sancita con decreto ministeriale. La giurisprudenza chiarisce che tale misura non è punitiva, ma è legata alla perdita dei requisiti oggettivi richiesti per il pubblico impiego. Si tratta, quindi, di una conseguenza automatica che prescinde da valutazioni soggettive o dalla gravità del comportamento.
Rilevanza disciplinare in caso di incompatibilità: valutazione caso per caso
Qualora il dipendente ottemperi alla diffida, la decadenza non si applica, ma l’incompatibilità assume rilievo sul piano disciplinare. In questi casi, si avvia un procedimento in cui si valutano gravità, intenzionalità e conseguenze della condotta. A differenza della decadenza, che segue criteri oggettivi, la responsabilità disciplinare è soggetta a un giudizio di proporzionalità, secondo i principi contenuti nel D.Lgs. n. 165/2001. Anche la recente giurisprudenza, come la sentenza n. 746/2024 del Consiglio di Stato, ha ribadito la necessità di avviare procedimenti disciplinari in presenza di violazioni dell’obbligo di esclusività, sottolineando l’importanza di tutelare il servizio pubblico da possibili conflitti di interesse.
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