Maltrattamento per body shaming: padre condannato per insulti alla figlia

La Cassazione conferma che il body shaming genitoriale è reato: condannato padre che insultava la figlia 11enne per violenza psicologica e maltrattamento.

A cura di Marco Marco
24 settembre 2025 20:32
Maltrattamento per body shaming: padre condannato per insulti alla figlia - Corte di Cassazione
Corte di Cassazione
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La Corte di Cassazione ha stabilito che il body shaming in ambito familiare costituisce reato di maltrattamento, confermando la condanna di un padre che insultava la figlia undicenne. La sentenza sottolinea la gravità delle parole offensive dei genitori sui minori e apre una riflessione su violenza psicologica e tutela dei bambini.

Body shaming e reato di maltrattamento

Con una sentenza pubblicata il 15 settembre, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’Appello di Venezia contro un padre colpevole di aver insultato ripetutamente la figlia undicenne. Gli epiteti usati – tra cui “cicciona, fai schifo” e “susciti repulsione in me e in chi ti guarda” – sono stati riconosciuti come condotte che rientrano nel reato di maltrattamenti in famiglia. I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato che parole come “cicciona”, “nano”, “brutto” o “secca” possono avere effetti devastanti sullo sviluppo psicologico dei minori, specie se pronunciate da un genitore, figura centrale nel percorso identitario del bambino.

Le motivazioni dei giudici

L’uomo aveva cercato di giustificare i suoi comportamenti sostenendo di aver visto la figlia solo in tre fine settimana tra gennaio e luglio 2020, a causa degli impegni lavorativi e delle restrizioni legate alla pandemia. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che le sue azioni rappresentassero “una frequenza reiterata” di atteggiamenti umilianti e un vero e proprio “disprezzo sistematico” verso la minore. Secondo i magistrati, non si trattava di semplici rimproveri educativi, ma di violenza psicologica reiterata che ha superato ogni confine del diritto-dovere di correzione del genitore.

Testimonianze e quadro familiare

Determinanti per la sentenza sono state le testimonianze della madre, che ha descritto gli incontri come “occasioni per perpetuare comportamenti svilenti e maltrattanti”, della sorella dell’imputato e dei servizi sociali, che hanno delineato una situazione allarmante. Il culmine si è raggiunto il 28 luglio 2020, quando l’uomo ha anche aggredito fisicamente la figlia per presunte ragioni legate all’igiene alimentare. La decisione della Suprema Corte afferma che il body shaming genitoriale integra maltrattamenti in famiglia e ribadisce la necessità di tutelare i minori dalle violenze psicologiche mascherate da educazione.