Il terzo referendum sul lavoro affronta un tema centrale nel dibattito politico e sociale italiano: la regolamentazione dei contratti a termine. L’obiettivo è limitare il ricorso a questi contratti, che negli anni hanno contribuito ad alimentare la precarietà lavorativa. La proposta referendaria mira a modificare alcune disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2015, eliminando la possibilità di stipulare contratti senza causale fino a 12 mesi e riportando la disciplina al controllo della contrattazione collettiva.
L’evoluzione normativa dei contratti a tempo determinato
La disciplina dei contratti a termine ha attraversato profonde trasformazioni a partire dalla legge n. 230 del 1962, che ne limitava severamente l’utilizzo, consentendolo solo in casi eccezionali. In quel periodo, l’economia italiana viveva una fase di espansione, ma il sistema offriva poche tutele contro i licenziamenti ingiustificati. A partire dagli anni ’80, con l’affermarsi della concertazione sindacale, si è iniziato a introdurre una flessibilità controllata, affidando alla contrattazione collettiva il compito di stabilire quando e come impiegare i contratti a termine.
La liberalizzazione e l’inizio della precarizzazione
Una svolta significativa si è avuta nei primi anni 2000 con una legge del governo di centro-destra che ha eliminato l’obbligo di causali specifiche per l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, sostituendole con motivazioni generiche come “ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive”. Questo cambiamento ha progressivamente indebolito la funzione originaria del contratto a termine, trasformandolo da eccezione regolata a modalità ordinaria di assunzione, spesso preferita dalle aziende per evitare gli oneri del contratto a tempo indeterminato.
Il referendum per ripristinare la contrattazione collettiva
Il decreto legislativo n. 81 del 2015, oggetto della proposta referendaria, consente la stipula di contratti a termine fino a 12 mesi senza alcuna motivazione e fino a 24 mesi con causali generiche. Il referendum propone di abrogare alcune parti degli articoli 19 e 21 del decreto, riportando il ricorso al contratto a termine all’interno di una cornice definita dalla contrattazione collettiva, con l’unica eccezione della sostituzione di lavoratori assenti. In questo modo, si cerca di contrastare la diffusione dei lavori precari, restituendo centralità alle regole condivise e promuovendo una maggiore stabilità occupazionale.
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