Gli stipendi dei docenti italiani variano in base a diversi fattori, tra cui il grado scolastico di insegnamento, l’anzianità di servizio, la tipologia contrattuale e la zona geografica. Facciamo il punto della situazione a proposito della retribuzione media nel settore Istruzione e Ricerca nell’a.s. 2024/25.
Ggli stipendi dei docenti della scuola dell’Infanzia e Primaria nell’a.s. 2024/25
Per i docenti della scuola dell’infanzia e primaria, lo stipendio iniziale lordo si attesta intorno ai 21.000 euro annui, pari a circa 1.600 euro lordi mensili esclusa la tredicesima. Al netto delle imposte, un insegnante neoassunto percepisce circa 1.300 euro netti al mese, che salgono fino a 2.095 euro netti negli ultimi anni di carriera. A questi importi si sommano voci fisse come la Retribuzione Professionale Docenti (RPD), pari a circa 174,50 euro lordi mensili. Nonostante l’obbligo di laurea in Scienze della Formazione Primaria, gli stipendi in questa fascia rimangono bassi rispetto agli standard europei e poco sopra la soglia di povertà in regioni dal costo della vita elevato.
Scuola Secondaria: retribuzioni più alte ma ancora contenute
Nei gradi superiori della scuola – medie e superiori – i compensi risultano leggermente più elevati. Un docente delle medie inizia con circa 1.680 euro netti al mese, mentre a fine carriera può arrivare a circa 2.244 euro netti. Per i docenti delle scuole superiori, si parte da 1.690 euro netti mensili e si può raggiungere fino a 2.315 euro netti dopo oltre 35 anni di servizio. Tuttavia, le differenze retributive tra i vari gradi scolastici rimangono contenute. I docenti tecnico-pratici (ITP), con diploma, guadagnano cifre leggermente inferiori rispetto ai colleghi laureati, partendo da 1.582 euro netti a salire fino a 2.144 euro netti mensili. La crescita economica è regolata dalle fasce di anzianità previste dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL), ma resta lontana dalle retribuzioni delle professioni con titoli equivalenti.
Contratti a tempo determinato e indeterminato: le disparità retributive
Un elemento cruciale nella definizione dello stipendio è la tipologia contrattuale. I docenti di ruolo, con contratto a tempo indeterminato, godono di una maggiore stabilità retributiva e maturano scatti di anzianità. I precari, invece, anche se assunti con incarichi annuali, vengono pagati come docenti in fascia “0-8 anni” e non beneficiano degli scatti progressivi. Inoltre, chi svolge supplenze brevi o temporanee non percepisce la RPD né altri compensi accessori, con una perdita netta mensile di circa 100 euro rispetto ai colleghi stabili. Anche la Carta del Docente – bonus da 500 euro per la formazione – è stata estesa solo di recente ai supplenti annuali. Queste disparità evidenziano la necessità di un maggiore equilibrio normativo per valorizzare anche il lavoro degli insegnanti temporanei.
Anzianità, differenze regionali e indennità accessorie
La progressione di carriera è scandita da sei fasce di anzianità, con aumenti medi tra 150 e 200 euro lordi al mese per ogni passaggio. Un docente delle superiori può vedere il proprio stipendio aumentare del 30-40% a fine carriera. Tuttavia, questi incrementi non sempre compensano l’inflazione, motivo per cui è stata introdotta l’Indennità di Vacanza Contrattuale (IVC). A partire da aprile 2025, l’IVC è dello 0,6% dello stipendio tabellare, e salirà all’1% da luglio se il nuovo contratto non verrà firmato. Le differenze territoriali nel costo della vita incidono sul potere d’acquisto: 1.500 euro netti al mese a Milano non equivalgono agli stessi importi percepiti in una città del Sud. Questo ha riacceso il dibattito sulle cosiddette “gabbie salariali”. Infine, alcune indennità aggiuntive – come quelle per insegnamento in zone disagiate o ruoli extra – e premi al merito offrono piccoli incrementi, ma non modificano in modo strutturale gli stipendi base. Complessivamente, gli stipendi dei docenti italiani restano bassi rispetto alla media europea, con ampi margini di miglioramento.
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