La ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha annunciato un nuovo bando da 50 milioni di euro destinato ai vincitori dei finanziamenti europei ERC per favorire il rientro in Italia dei giovani ricercatori attivi all’estero. L’iniziativa, presentata durante gli Stati Generali dell’Università promossi da Forza Italia, si inserisce in un piano più ampio per rafforzare la competitività accademica nazionale. Tuttavia, l’annoso problema della fuga dei talenti dal sistema universitario italiano resta aperto: stipendi bassi, carriere precarie e mancanza di prospettive continuano a spingere molti ricercatori a cercare fortuna altrove. Il rischio, secondo diversi osservatori, è quello di un’operazione simbolica che poco incide sulla crisi strutturale del settore.
Un bando per far rientrare i talenti fuggiti
Il bando da 50 milioni, in fase di pubblicazione, si rivolge ai vincitori degli ERC Starting e Consolidator Grants, tra i più ambiti nel panorama della ricerca europea. La misura intende finanziare progetti fino a 36 mesi, agevolando il ritorno in Italia di chi ha già ottenuto importanti riconoscimenti all’estero. Si tratta della prima fase di un programma articolato in tre tappe, pensato per rendere più attrattivo il sistema universitario nazionale.
Il paradosso: investimenti per chi è già andato via
Mentre si tenta di riportare a casa chi ha scelto o dovuto emigrare, la condizione di chi è rimasto in Italia resta segnata da precarietà e incertezza. Molti ricercatori vivono con contratti a termine, passano da un assegno di ricerca all’altro e faticano a costruire un percorso professionale stabile. Il sistema continua a soffrire di carenze strutturali che scoraggiano i giovani a investire nel futuro accademico in patria.
Il nodo della precarietà accademica
La questione salariale resta uno degli ostacoli principali. In Italia, un dottorando percepisce spesso meno di mille euro al mese. Le carriere universitarie sono lente, frammentate e poco meritocratiche. La burocrazia rende complicato l’accesso ai fondi, e i criteri di valutazione sono spesso poco trasparenti. Tutto ciò contribuisce ad alimentare un clima di frustrazione e sfiducia che porta i talenti a cercare condizioni migliori altrove.
Serve una strategia sistemica, non spot mediatici
L’idea di puntare sull’eccellenza è condivisibile, ma rischia di rimanere isolata se non si interviene sul quadro complessivo. Il richiamo dei “cervelli” ha senso solo se accompagnato da una riforma del reclutamento, da investimenti continui nella ricerca e da un serio riconoscimento del merito. Senza un cambiamento profondo, ogni bando rischia di essere solo una misura tampone.
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