D.P.R. 134/2025: la scuola tra nuove regole e missione educativa
L'analisi del CNDDU sul D.P.R. 134/2025 evidenzia la necessità di formare cittadini consapevoli privilegiando percorsi di recupero e cittadinanza attiva.
L'intervento del CNDDU sul D.P.R. 134/2025 pone l'accento sulla necessità di recuperare il ruolo autentico dell'istituzione scolastica. Oltre alla semplice regolamentazione dei comportamenti, la riforma invita a trasformare la gestione disciplinare in un'opportunità di crescita, promuovendo una comunità che educa e responsabilizza gli studenti attraverso un percorso di consapevolezza condiviso.
D.P.R. 134/2025: la disciplina oltre la sanzione. Richiamata la scuola alla sua missione originaria: formare cittadini consapevoli, non semplicemente regolamentare comportamenti
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani (CNDDU) accoglie la nota di chiarimento dell’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia sul D.P.R. 134/2025 come un invito a riflettere sul modo in cui la scuola italiana si concepisce nel suo ruolo più autentico: quello di una comunità che educa, accoglie e trasforma. Le modifiche al sistema disciplinare, pur mantenendo saldi i principi di proporzionalità e finalità educativa, tracciano una nuova mappa della responsabilità studentesca che merita di essere compresa in profondità, oltre il linguaggio normativo che la descrive.
Ogni intervento disciplinare, anche quando assume la forma dell’allontanamento, porta con sé una domanda essenziale: che idea di scuola esprimiamo quando interveniamo sull’errore? Se la risposta rimane confinata nell’ambito della regolazione dei comportamenti, il rischio è quello di ridurre la complessità dell’adolescenza a un insieme di procedure. Ma l’adolescenza è ben altro: è una stagione di transizione, di fragilità e di sfide identitarie in cui ciascun ragazzo cerca un posto nel mondo. La scuola, in questo momento, non dovrebbe ergersi come un giudice, ma presentarsi come interlocutore capace di ascolto, capace di proporre percorsi di senso, capace soprattutto di custodire il legame anche quando si interviene con fermezza.
La nuova enfasi posta sulle attività di cittadinanza attiva e solidale rappresenta senza dubbio un segnale di fiducia nelle potenzialità dei percorsi riparativi. Tuttavia, perché queste esperienze abbiano un impatto reale, occorre che vengano vissute come uno spazio di incontro e non come una mera conseguenza amministrativa di un provvedimento disciplinare. Un adolescente non impara la responsabilità soltanto svolgendo un compito assegnato; la impara quando comprende che il suo agire ha ripercussioni sulla comunità di cui fa parte, quando riconosce che la solidarietà non è un’imposizione ma un modo possibile di stare al mondo. Le attività di cittadinanza possono diventare un terreno prezioso di crescita personale, purché mantengano una dimensione umana e non scivolino verso una contabilizzazione che ne snaturerebbe il valore.
Anche l’allontanamento più prolungato, previsto nei casi di comportamenti particolarmente gravi, dovrebbe essere interpretato non come espulsione simbolica dalla comunità ma come un tempo sospeso in cui la scuola continua a farsi presente, prendersi cura, ricostruire ponti. Un giovane che attraversa un momento di deviazione non è un individuo perduto, ma una persona che porta in sé una domanda di riconoscimento, talvolta distorta ma sempre autentica. Il coinvolgimento della famiglia, dei servizi territoriali e delle istituzioni giudiziarie non deve far dimenticare che il centro educativo rimane la scuola: il luogo in cui il ragazzo ha infranto una regola, ma anche il luogo in cui può ritrovare il proprio cammino.
La richiesta di aggiornare il Regolamento d’istituto e il Patto educativo di corresponsabilità non va interpretata come un adempimento formale, bensì come l’occasione per rimettere al centro la relazione educativa. Le norme hanno senso solo se si innestano in una visione condivisa: quella di una scuola che accompagna i giovani nella costruzione della propria cittadinanza interiore, non solo nella conformità a un codice. La corresponsabilità educativa, infatti, non vive nei documenti, ma nelle azioni quotidiane, nei dialoghi difficili, nelle situazioni di conflitto trasformate in opportunità di crescita, nei gesti di cura che sostengono il percorso di ciascuno.
Il CNDDU ritiene che la vera sfida del nuovo impianto disciplinare consista nel non perdere di vista il nucleo più profondo della missione scolastica. Non è la severità a educare, ma la coerenza. Non è la sanzione a trasformare, ma il significato che l’adulto sa darle. Non è l’allontanamento che risolve, ma la qualità del rientro. Una scuola che si limita a correggere non lascia traccia; una scuola che accompagna può cambiare un destino.
La riforma, con le sue novità e le sue complessità, ci richiama alla necessità di una comunità educante vigile, capace di autoregolarsi senza perdere il proprio cuore umano. È in questo senso che la scuola può tornare a essere ciò che è sempre stata nella sua vocazione più alta: un luogo in cui i diritti non sono un’affermazione astratta ma un’esperienza quotidiana, un laboratorio in cui gli adolescenti imparano a riconoscersi come cittadini, e gli adulti come garanti della loro crescita. L'applicazione del D.P.R. 134/2025 sarà realmente efficace solo se saprà custodire questa prospettiva, trasformando la norma in opportunità e l’errore in un passaggio verso la maturità.
prof. Romano Pesavento, presidente CNDDU