Figli, un lusso da ricchi: il vero volto della crisi demografica secondo l’OCSE
Il nuovo rapporto OCSE rivela che il vero ostacolo ad avere figli in Europa è l’alto costo della genitorialità, più che la denatalità stessa.


Un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) capovolge la narrazione dominante sulla crisi demografica in Europa. Contrariamente a quanto sostenuto finora, non è la denatalità il cuore del problema, ma l’elevato costo della genitorialità. Avere figli oggi non è più una scelta naturale, ma un privilegio economico accessibile a pochi. Lo studio “Parenting on a Budget” indaga quanto costa davvero crescere un figlio e quanto pesa questo costo sulle famiglie europee, con un focus particolare sull’Italia.
Il costo reale della genitorialità: tra numeri e percezioni
Lo studio OCSE si basa su due principali fonti di dati armonizzati a livello europeo: l’Eu-HBS (Household Budget Survey) e l’Eu-SILC (Statistics on Income and Living Conditions). Due approcci paralleli sono stati adottati per misurare l’impatto economico dei figli:
- Spesa effettiva: analisi dei bilanci familiari reali
- Difficoltà percepita: valutazione soggettiva delle famiglie su quanto faticano a “far quadrare i conti”
Queste due dimensioni mostrano una preoccupante divergenza.
In Italia, il gap tra il costo oggettivo e la difficoltà soggettiva è tra i più ampi d’Europa. Questo squilibrio evidenzia un disagio economico profondo, che va oltre i meri numeri dei bilanci.
Figli ed economie di scala: un’illusione teorica
Secondo la teoria economica classica, ogni figlio successivo dovrebbe costare meno grazie alle cosiddette "economie di scala" familiari. Tuttavia, i dati OCSE contraddicono questa idea.
Nelle famiglie monoparentali, la situazione è ancora più critica: il secondo figlio può arrivare a costare quasi quanto il primo, e le economie di scala diventano del tutto inesistenti.
Le famiglie invisibili alle statistiche: monoparentali e condivise
Il rapporto OCSE pone l’accento sulle famiglie non tradizionali, spesso escluse o sottorappresentate dalle politiche di welfare.
- Famiglie monoparentali: il costo del primo figlio può superare il 60% del consumo equivalente di un adulto, contro il 27% delle famiglie biparentali italiane
- Custodia condivisa: i figli che vivono solo parte del tempo con ciascun genitore comportano spese fisse duplicate (camera, vestiti, alimentazione, attività extrascolastiche), ma restano invisibili nelle statistiche ufficiali
Nota critica: In Italia, l’Assegno Unico Universale non distingue tra figli conviventi e figli “a tempo parziale”. Il risultato? Un sostegno economico inadeguato rispetto al carico effettivo.
Il fattore età: figli adolescenti e giovani adulti costano di più
L’impatto economico dei figli non è statico, ma varia fortemente in base all’età. Il costo cresce in modo sensibile nell’adolescenza e nella giovinezza.
In Italia, oltre il 70% dei giovani tra i 20 e i 29 anni vive ancora con i genitori, spesso per necessità economiche. Tuttavia, molte misure pubbliche di sostegno si interrompono intorno ai 21 anni, lasciando scoperta un’intera fase critica del ciclo di vita.
Una crisi economica prima ancora che demografica
Il rapporto OCSE ribalta la retorica sulla denatalità. Non si fanno meno figli perché le persone non li desiderano, ma perché crescere un figlio è diventato troppo costoso, specie per le famiglie non tradizionali o con redditi medi e bassi. Le politiche pubbliche, ferme a un modello familiare standard e superato, non intercettano le nuove vulnerabilità: famiglie monoparentali, custodie condivise, giovani adulti economicamente dipendenti. Senza una revisione strutturale degli strumenti di sostegno alla genitorialità, l’Europa — e l’Italia in particolare — continuerà a vedere calare le nascite, non per mancanza di desiderio, ma per mancanza di mezzi.