UNIMC, 25 novembre: “La violenza di genere inizia dalle parole”, l’analisi della Profe.ssa Barbara Malaisi

Un appello della docente del Dipartimento di Economia e Diritto a istituzioni, scuola e media a superare il maschile “neutro” e a promuovere modalità espressive realmente inclusive.

A cura di Scuolalink Scuolalink
22 novembre 2025 18:00
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In occasione del 25 novembre, la professoressa Barbara Malaisi (Unimc) riflette sulle radici culturali della violenza di genere. Secondo la docente, contrastare gli abusi significa partire dal linguaggio: le parole costruiscono la realtà e superare gli stereotipi è cruciale per garantire dignità e uguaglianza sostanziale.

UNIMC, 25 NOVEMBRE: “LA VIOLENZA DI GENERE INIZIA DALLE PAROLE”

MACERATA - In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la professoressa Barbara Malaisi, ricercatrice di Istituzioni di Diritto Pubblico e delegata alla comunicazione per Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università degli Studi di Macerata, invita a considerare il linguaggio come il primo campo d’azione. Perché la violenza non comincia con il gesto estremo, ma molto prima: nelle parole che usiamo ogni giorno e nella visione della realtà che quelle espressioni contribuiscono a costruire.

Secondo la docente, trascurare od omettere il femminile nel linguaggio contribuisce a ridurre il riconoscimento sociale delle donne. «Le assenze valgono quanto le presenze. Se le donne non vengono nominate, rischiano di sembrare marginali, ciò che, nella realtà concreta, non sono di certo. L’uso del maschile presunto neutro o la resistenza al femminile professionale non sono semplici abitudini, ma segnali di un’impostazione culturale da superare».

La professoressa Malaisi richiama anche la cosiddetta “piramide della violenza”, un modello che ordina i diversi livelli di violenza a seconda della loro gravità e che ha alla base proprio l’utilizzo di un linguaggio sessista: il primo indizio di un contesto che può aprire la strada a forme più gravi di abuso. «Una parola discriminatoria non è irrilevante – spiega – perché contribuisce a rendere tollerabile ciò che non dovrebbe esserlo. Il linguaggio influisce sul modo in cui interpretiamo i rapporti sociali e la presenza femminile negli spazi pubblici».

Da qui l’esigenza di un impegno mirato nell’uso della lingua, che la docente considera un passaggio culturale fondamentale. «Il linguaggio non è un dettaglio formale: orienta la coscienza collettiva e contribuisce a definire ciò che riteniamo legittimo. Promuovere un uso corretto, consapevole e rispettoso delle parole significa creare condizioni più favorevoli all’uguaglianza».

Malaisi richiama inoltre il ruolo cruciale delle istituzioni, dei media e della scuola. Il modo in cui le amministrazioni comunicano, il linguaggio scelto dall’informazione e quello insegnato nei percorsi educativi contribuiscono infatti a definire ciò che appare legittimo e ciò che resta ai margini. La docente insiste sull’importanza di adottare pratiche linguistiche responsabili, capaci di restituire spazio e dignità a tutte le soggettività, soprattutto a quelle che la tradizione ha spesso reso invisibili. «Una comunicazione attenta e inclusiva favorisce una rappresentazione più equilibrata della società e aiuta a prevenire stereotipi che possono alimentare discriminazioni. Il linguaggio deve rendere visibili tutte le persone, non cancellarne alcune in nome di una presunta tradizione linguistica».

Infine, un appello: «Ogni parola può rafforzare o indebolire il rispetto reciproco. Dare nome significa dare dignità. Intervenire sul linguaggio è un passo necessario per costruire una società capace di contrastare la violenza di genere in modo concreto e duraturo».

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