AI veganism, la scelta di chi rinuncia all’intelligenza artificiale
AI veganism: un movimento che invita a ridurre l’uso di intelligenza artificiale per motivi ambientali, cognitivi e di sostenibilità digitale.


L’uso quotidiano dell’intelligenza artificiale è in crescita, ma nasce un movimento opposto: l’AI veganism. Chi lo abbraccia decide di limitare o escludere chatbot, generatori di immagini e strumenti automatizzati, per ridurre l’impatto ambientale, preservare il pensiero critico e difendere il valore della creatività umana.
Motivazioni ambientali e culturali
Il movimento dell’AI veganism nasce da una riflessione sui costi nascosti dell’uso delle tecnologie avanzate. Ogni richiesta a un algoritmo complesso non è “gratuita”: la generazione di immagini richiede molta più energia rispetto a una normale ricerca online e comporta anche un notevole consumo di acqua per il raffreddamento dei data center. A ciò si aggiunge il timore per la perdita di autonomia cognitiva, con ricerche che suggeriscono un possibile calo delle capacità di ragionamento critico quando ci si affida troppo spesso a sistemi automatizzati.
Sul piano culturale, la scelta richiama l’analogia con lo stile alimentare: come la “pelle vegana” ha sostituito quella animale, così l’astensione dall’uso di intelligenza artificiale diventa un atto identitario. Per i sostenitori, non si tratta solo di tecnologia, ma di un modo per riaffermare il valore del lavoro creativo umano e uno stile di vita più equilibrato.
Autonomia digitale e rischi di dipendenza
Un altro aspetto centrale dell’AI veganism è la preoccupazione per la dipendenza tecnologica. Alcuni leader del settore, come Mark Zuckerberg, hanno ipotizzato che chi non utilizzerà dispositivi con funzioni di intelligenza artificiale potrebbe trovarsi in una condizione di svantaggio. Questo scenario rafforza la scelta di chi rifiuta un’eccessiva automazione, preferendo preservare la propria autonomia mentale e limitare l’impatto delle macchine sulle capacità cognitive individuali.
Il dibattito non riguarda solo pochi “ribelli digitali”, ma solleva una questione collettiva: quanta IA consumiamo ogni giorno e quale prezzo ambientale e sociale comporta? Alcuni esperti suggeriscono persino un “conteggio calorico digitale” che mostri agli utenti l’impronta ecologica di ogni richiesta, invitando a un utilizzo più consapevole e sostenibile delle tecnologie intelligenti.
Verso un uso più responsabile dell’intelligenza artificiale
Nonostante le critiche, l’intelligenza artificiale resta uno strumento ormai radicato in molte attività quotidiane, dal lavoro alla comunicazione. I sostenitori dell’AI veganism non sempre rifiutano del tutto queste tecnologie, ma invitano a un approccio più equilibrato: ridurre le richieste superflue, valutare l’impatto in termini di risorse energetiche e privilegiare soluzioni meno dispendiose.
Questa prospettiva si inserisce nel più ampio dibattito sulla sostenibilità digitale, che coinvolge aziende, governi e utenti. La sfida sarà trovare un compromesso tra innovazione e responsabilità, riconoscendo il potenziale dell’IA senza ignorarne i costi nascosti. In questo senso, l’AI veganism potrebbe non trasformarsi in un fenomeno di massa, ma contribuire a diffondere maggiore consapevolezza sull’impatto che ogni interazione digitale genera.