Dalla scuola al Pronto Soccorso: il crollo di un figlio adolescente e il silenzio delle istituzioni
Un padre racconta la discesa del figlio adolescente nella violenza e denuncia l’assenza di aiuti. “Così il sistema abbandona le famiglie”.
Il racconto struggente di un padre al Corriere della Sera svela il crollo di un adolescente, tra disagio, baby gang e traffici illegali. Una denuncia contro l’assenza di prevenzione e l’impotenza delle famiglie di fronte a un cambiamento sociale che travolge tutti.
Una spirale di violenza che poteva essere fermata
La storia prende il via da un tentativo di rappresaglia fuori da una scuola milanese: un ragazzino di 14 anni voleva colpire alcuni coetanei. A fermarlo, la polizia, che già lo attendeva insieme a genitori e insegnanti. Il movente? Una questione legata al fumo, forse un piccolo giro di spaccio.
Il padre, intervistato dal Corriere, racconta: “Mio figlio, da un giorno all’altro, potrebbe essere portato via da casa e inserito in una comunità. Una spirale che si poteva bloccare prima. Non siamo genitori disinteressati, ma vittime di un cambiamento sociale devastante che coinvolge tutti”.
Ho chiesto aiuto ovunque. Nessuno ha risposto
“Ho bussato a tutte le porte. Invano”, continua il padre. “Viviamo in un’epoca in cui i nostri figli crescono tra contraddizioni: la tv filtra i contenuti, ma sul web possono vedere di tutto. Noi siamo indietro anni luce rispetto a loro”.
Racconta un passato sereno: “Mio figlio era un bambino meraviglioso. Poi, in poco tempo, si è chiuso in un disagio profondo. Più cerchiamo di aiutarlo, più si allontana. Abbiamo una famiglia presente, nonni e zii innamorati. Ho letto ogni libro possibile, non ho saltato un colloquio scolastico. Ma non è bastato”.
Dall’innocenza al Pronto Soccorso: la discesa
Il punto di svolta arriva in seconda media: “Esce da scuola, viene avvicinato da spacciatori. Lo fanno fumare, finisce al Pronto Soccorso”. Cambiata scuola, lega con un ragazzo seguito dai servizi sociali. “In dieci giorni lo emula. Poi i primi episodi: il furto di un marsupio in oratorio”. A settembre si iscrive a un istituto professionale, ma lo abbandona dopo tre settimane. “Lo accompagnavo a scuola, scappava dalla finestra”.
Crimini, droga e adulti che lo usano
Ottobre segna una nuova escalation: “Tenta di rapinare un coetaneo con un coltellino. È stato denunciato. Poi ho trovato una chat e delle foto: adulti coinvolgevano lui e altri minorenni in un traffico di sigarette elettroniche e hashish, il 'cioccolato'. L’ho denunciato io stesso, in accordo con i servizi sociali”.
Non è l’unico episodio: “La polizia lo sorprende a vandalizzare un parco. Vado a prenderlo: è ubriaco. Nel tentativo di calmarlo, mi ferisco”.
Vivono in un mondo che non capiamo
Il padre riflette: “Sembrano scegliere uno stile di vita a noi incomprensibile. Lo vivono come una bravata, un modo per sentirsi forti. Più sono fragili, più vogliono dimostrare il contrario”. Ha provato tutto: “Il padre severo, il detective, le punizioni, anche gli schiaffi. Ma più cercavo di contenerlo, più si chiudeva. Se un ragazzino ha una ferita dentro, serve andare alla radice. Il resto è solo palliativo”.
Un sistema che arriva tardi
“Lo abbiamo iscritto a un centro diurno, ma come convincere un ragazzino che si crede l’erede di Baby Gang o di Simba La Rue? Avevo pensato a un lavoro, ma sotto i 16 anni non si può. Non ci sono strumenti. E intanto l’età del disagio si abbassa sempre di più”.
Accusa il sistema: “La prevenzione è assente, manca sinergia tra le figure educative, e i tempi di intervento sono vergognosi. Se agisci dopo un anno, trovi davanti a te una persona già cambiata. È troppo tardi”.