Diffamazione via chat, la Cassazione: 'Offendere i docenti è reato'
La Cassazione conferma: insultare gli insegnanti nei gruppi WhatsApp configura diffamazione via chat anche senza la prova di lettura.
La recente sentenza della Cassazione n. 39414/2025 stabilisce che insultare gli insegnanti nei gruppi dei genitori integra la diffamazione via chat. Basta il semplice invio del messaggio per configurare il reato, tutelando la reputazione professionale e punendo le offese online.
La natura della diffamazione via chat
I giudici della quinta sezione penale hanno fissato un principio fondamentale: l'invio di un messaggio ingiurioso nella chat di classe è sufficiente a integrare l'illecito penale. Non serve affatto dimostrare l'effettiva lettura da parte degli altri iscritti. Essendo il gruppo WhatsApp uno strumento nato specificamente per scambiare informazioni scolastiche, esiste una presunzione logica che i contenuti vengano letti dai partecipanti. La Corte considera puramente "astratta" l'ipotesi che un testo inviato in una conversazione attiva venga ignorato. Si chiarisce così la natura insidiosa delle comunicazioni digitali quando queste vanno a ledere l'altrui dignità, eliminando ogni alibi per i leoni da tastiera.
Prove e destinatari nel gruppo
Per la piena configurazione del reato, l'onere della prova non ricade sulla persona offesa. Il docente vittima non è tenuto a presentare in tribunale screenshot delle conferme di lettura o testimonianze dirette. La dimensione della chat risulta irrilevante: la condotta diffamatoria sussiste comunicando l'offesa a più persone, identificabili in almeno due soggetti oltre alla parte lesa. La tesi difensiva basata sulla "ristretta cerchia" di intimi è stata definita stravagante dalla Cassazione. Le piattaforme di messaggistica non rappresentano zone franche, bensì spazi pubblici dove le parole digitate hanno un peso giuridico immediato e concreto.
Risarcimento e limiti alla critica
Chi offende rischia sanzioni pesanti. Nel caso esaminato, un genitore è stato condannato al risarcimento per aver attaccato la moralità di un'insegnante, costringendola persino a cambiare sede. È fondamentale distinguere nettamente: il diritto di critica sull'operato didattico è legittimo se espresso con continenza e tramite i canali istituzionali. Diventa invece reato quando si trasforma in attacco personale gratuito o lesione dell'onore. I genitori devono discutere l'andamento scolastico nei colloqui o nei consigli di classe, evitando sfoghi incontrollati che comportano inevitabili conseguenze legali e pesanti risarcimenti civili per il danno arrecato.