Dress code a scuola: i Presidi chiedono l'intervento del MiM
Il dibattito sul dress code a scuola si riaccende. Tra circolari locali e richiami ai docenti, i presidi chiedono l'intervento del Ministero.


L'inizio dell'anno riapre il dibattito sul dress code a scuola. Senza disposizioni centralizzate, i dirigenti emanano regolamenti interni autonomi. Si moltiplicano i divieti su minigonne, shorts e ciabatte, citando la necessità di decoro. La questione divide e ora molti presidi chiedono un intervento del Ministero per una linea guida nazionale.
Regole a macchia di leopardo e sensibilità diverse
Con il ritorno tra i banchi, la questione del codice di abbigliamento torna ciclicamente protagonista nelle scuole italiane. Attualmente, il panorama nazionale assiste a una marcata frammentazione normativa, con ogni istituto che agisce in completa autonomia. I dirigenti scolastici, in assenza di linee guida ministeriali chiare, si trovano a pubblicare circolari interne per definire i confini del decoro. Queste spesso vietano capi considerati inadeguati all'ambiente educativo, come scollature pronunciate, minigonne, shorts e magliette che lasciano l'addome scoperto. Gli esempi concreti, da Vicenza a Reggio Calabria, mostrano una certa uniformità nei divieti: l'obiettivo è bandire l'abbigliamento da spiaggia o da tempo libero, inclusi canottiere, bermuda e ciabatte.
Le motivazioni pedagogiche addotte sono chiare e mirano a promuovere il rispetto reciproco e a valorizzare la scuola come luogo istituzionale e di convivenza civile. Tuttavia, l'applicazione di queste regole si scontra con la realtà quotidiana. Come sottolineato da diversi dirigenti, imporre la sobrietà è complesso perché sul tema si confrontano sensibilità generazionali molto diverse. Una "battaglia per il buon gusto" che, secondo alcuni, non è affatto vinta. Regole percepite come troppo rigide rischiano inoltre di generare atteggiamenti sfidanti negli adolescenti, vanificando l'intento educativo. Per questo, molti vicepresidi preferiscono ancora appellarsi al "buon senso" individuale, pur riconoscendo la difficoltà di trovare un punto di vista realmente condiviso.
L'appello al Ministero sul dress code a scuola
Di fronte a questa gestione disomogenea e alle evidenti difficoltà applicative, cresce l'appello al Ministero dell'Istruzione e del Merito. Molti dirigenti scolastici chiedono un intervento centrale e deciso. L'esempio citato è quello del divieto sull'uso dei cellulari in classe: una direttiva ministeriale che ha fornito uno strumento normativo chiaro a tutti gli istituti. L'obiettivo è ottenere una direttiva nazionale analoga, che stabilisca un punto fermo sulla questione del decoro, superando le iniziative dei singoli istituti e le interpretazioni personali.
Questa richiesta mira a fornire una linea guida omogenea e ufficiale. Tra le soluzioni proposte emerge l'ipotesi della divisa scolastica. Alcuni dirigenti guardano al modello anglosassone, suggerendo divise con il logo dell'istituto. Altri propongono un approccio più morbido, come l'adozione di capi base (jeans, maglietta). Questa prospettiva non è solo formale. Le circolari più articolate evidenziano un importante risvolto sociale: un dress code definito può ridurre le differenze economiche visibili tra gli studenti. Limitando l'ostentazione di abiti firmati, si prevengono discriminazioni o bullismo legati al vestiario, promuovendo l'uguaglianza sociale nell'ambiente educativo.
Decoro e sicurezza: il richiamo si estende ai docenti
La questione del decoro e dell'adeguatezza dell'abbigliamento non si limita alla popolazione studentesca, ma coinvolge attivamente anche il personale docente e ATA. In alcuni istituti, i dirigenti sono intervenuti per richiamare formalmente i professori riguardo all'abbigliamento indossato in aula e, soprattutto, all'interno dei laboratori. Il focus, in questo contesto, si sposta dal vago concetto di "buon gusto" a quello, molto più concreto, della sicurezza fisica sul luogo di lavoro. Un vicepreside, ad esempio, ha specificato l'inadeguatezza di alcune calzature, come le ciabatte aperte posteriormente.
È stato chiarito che, al di là di una generica valutazione di opportunità, l'uso di scarpe che non tengono il piede saldo e fermo rappresenta un serio problema di sicurezza, aumentando il rischio di inciampi o incidenti. In modo ancora più netto, le "infradito" sono state definite particolarmente pericolose e, per questa ragione, esplicitamente non ammesse per l'accesso ai laboratori scientifici o tecnici, dove la protezione individuale è prioritaria. Questo richiamo sottolinea come le regole di abbigliamento tecnico e di sicurezza debbano prevalere su qualsiasi scelta personale, sia per gli studenti che per gli insegnanti.