Femminicidi, Cacciari: 'solo una rivoluzione culturale può fermarli, non l’inasprimento delle pene'
Massimo Cacciari analizza il fenomeno dei femminicidi: servono educazione e cultura, non pene più dure, per affrontare la crisi antropologica in atto.
Ospite di una recente puntata su La7, il filosofo Massimo Cacciari ha offerto una riflessione profonda e provocatoria sul tema dei femminicidi, analizzando il fenomeno non come un'emergenza criminale da contrastare solo con misure repressive, ma come il sintomo drammatico di una crisi culturale e antropologica in atto. Secondo Cacciari, la violenza di genere è il prodotto di una società incapace di preparare le nuove generazioni ad affrontare i profondi cambiamenti nei rapporti tra i sessi.
La violenza come reazione alla trasformazione
Nel corso del suo intervento, Cacciari ha inquadrato il femminicidio come una manifestazione tragica di resistenza culturale. Ha spiegato che i soggetti culturalmente più fragili, di fronte ai mutamenti nei ruoli e nelle dinamiche tra uomini e donne, rispondono con l’unico strumento che conoscono: la violenza. “Non potendo con la parola, con il discorso, con il ragionamento affrontare queste trasformazioni, si oppongono con la violenza”, ha detto, riferendosi al caso straziante di Martina Carbonaro, la 14enne uccisa dall’ex fidanzato diciannovenne.
Scuola ed educazione sentimentale: la vera prevenzione
Per il filosofo veneziano, la soluzione non risiede in un inasprimento delle pene: “Pensare che siano le pene a dissuadere dal commettere un femminicidio è ridicolo”. L’unica via percorribile, secondo Cacciari, è una riforma educativa radicale, una rivoluzione culturale che cominci dalla scuola. “Occorrerebbe una buona politica che finanzia una buona scuola che incentiva e promuove una buona cultura nelle scuole, buone letture, inquadramento storico delle grandi trasformazioni antropologiche”.
Un punto centrale dell’analisi di Cacciari riguarda l’educazione sentimentale: un ambito ancora oggi trascurato e spesso censurato nei programmi scolastici. L’ironia di Lilli Gruber ha colto nel segno: “Nel regno di Dio, patria e famiglia non si può neanche pronunciare la parola sesso”. Cacciari sottolinea invece l’urgenza di affrontare temi come affettività, relazioni e sessualità in modo maturo e consapevole, liberandoli dai tabù culturali e religiosi.
Femminicidi: il fallimento della politica e il ritorno del patriarcato
Nel suo intervento, Cacciari ha puntato il dito anche contro l’attuale classe dirigente, colpevole secondo lui di alimentare una narrazione regressiva e violenta. “Vogliono educare alla dea famiglia, al dio stato”, ha affermato, criticando una politica che guarda al passato invece di preparare i giovani ai “salti d’epoca” in atto.
L’adulto contemporaneo, sostiene il filosofo, “semina tempeste” in un clima segnato da un linguaggio violento e dal “crollo di ogni forma di diritto internazionale”. In questo contesto, la cultura patriarcale non solo non è stata superata, ma sembra tornare prepotentemente, rafforzata da una politica che insegna “il linguaggio dell’avere, del possedere, dell’impadronirsi”.
Una scuola per il futuro, non per il passato
La proposta di Cacciari è chiara: serve una scuola capace di attrezzare culturalmente e emotivamente i giovani. Solo educando al rispetto, al pensiero critico e alla consapevolezza storica si potrà affrontare la fine dell’epoca patriarcale. “Una certa epoca, quella patriarcale, è definitivamente finita e non risorgerà mai più”, ha concluso il filosofo, lanciando un appello alla politica affinché investa finalmente nella cultura come strumento di prevenzione della violenza.