Galimberti: 'A scuola non si educa, si istruisce, e il potere ci guadagna'
Galimberti: la scuola italiana non educa ma istruisce. Bisogna aprire il cuore per aprire la mente. E i genitori? Uccidono il desiderio coi regali.


Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, ha raccontato in un’intervista il proprio vissuto scolastico e l’esperienza come docente. Per lui, la scuola italiana fallisce nell’educare, limitandosi a istruire. Fondamentale, invece, è imparare a condurre gli studenti verso la comprensione. Il suo segreto? Aver insegnato 15 anni al liceo prima dell’università.
Galimberti da alunno svogliato a filosofo
Galimberti non nasconde di essere stato uno studente con difficoltà: “A scuola andavo maluccio”, racconta. In seconda liceo, dopo aver lasciato il seminario, ha deciso di studiare da solo il programma di due anni, con l’unico aiuto di un amico per la trigonometria. Il risultato? Ottimi voti alla maturità, un tema pubblicato sul giornale e due borse di studio vinte. È lì che è iniziato il suo percorso filosofico, anche se rivela: “Avrei voluto fare medicina, ma costava troppo”.
L’importanza di insegnare prima di spiegare
“Se uno mi insegna, io non imparo”, afferma Galimberti, sottolineando come l’apprendimento autentico avvenga solo se nasce da un’esplorazione personale. Il suo approccio all’insegnamento si è formato nei 15 anni trascorsi nei licei, prima dell’università. A scuola, spiega, “hai il dovere di preoccuparti se gli alunni ti capiscono”, un atteggiamento che ha trasferito anche nella sua attività clinica. L’insegnante come l’analista: non basta dire la verità, ma aiutare l’altro a scoprirla.
Galimberti: la scuola italiana istruisce ma non educa
Galimberti denuncia con forza la mancanza di una vera educazione nella scuola italiana. “Istruire non è educare”, afferma. Educare significa “condurre”, mentre l’istruzione si limita a trasmettere competenze. Secondo Platone, “la mente si apre se prima si apre il cuore”, ma le classi da 30 alunni impediscono ogni possibilità di seguire l’evoluzione individuale. La scuola così organizzata non può che fallire il suo compito educativo, lasciando spazio al potere che si alimenta dell’ignoranza.
Genitori distratti e desiderio ucciso
Galimberti estende la sua critica anche al ruolo genitoriale. Le madri e i padri parlano ai figli solo sul piano fisico, mai su quello psicologico. Domande come “sei felice?” mancano, sostituite da indicazioni superficiali. I genitori compensano l’assenza di parole con regali, che definisce “delitti” perché uccidono il desiderio. Il risultato è una generazione che non desidera più nulla, indifferente a tutto, privata di quella mancanza che è motore dell’evoluzione personale.