Il docente per l’inclusione sostituirà il sostegno? La proposta della Lega divide
La proposta della Lega sul “docente per l’inclusione” cambia davvero la scuola? Criticità, rischi e modelli alternativi per una reale didattica inclusiva


La Lega propone una riforma che trasforma il docente di sostegno in “docente per l’inclusione”. Il cambiamento, apparentemente terminologico, ha implicazioni profonde sulla scuola italiana: nuove responsabilità, rischio di delega e un impatto sul ruolo di tutti i docenti. Cosa prevede davvero la proposta di legge?
Docente per l’inclusione: una nuova figura o solo un cambio di nome?
La proposta della Lega introduce il docente per l’inclusione, un termine che intende rafforzare la dimensione pedagogica del sostegno, ma che rischia di generare confusione normativa. Oggi, la legge 104/1992 parla di docente specializzato per le attività di sostegno, mentre l’attuale riforma introduce una nuova definizione senza però superare la coesistenza di due espressioni. L’inclusione, inoltre, è già prevista come compito di tutta la comunità scolastica, e attribuirla a un’unica figura potrebbe minare il principio di corresponsabilità educativa. Il timore è che si rafforzi la delega implicita del lavoro inclusivo al solo docente specializzato, riducendo l’impegno condiviso dei colleghi curricolari.
Impatto su organici e organizzazione scolastica
Il disegno di legge non prevede risorse aggiuntive, come esplicitato nel principio di invarianza finanziaria. L’effetto concreto sarebbe una redistribuzione dell’organico già esistente, con il rischio di compromettere il sostegno agli alunni con disabilità, soprattutto nelle classi con più studenti certificati. Il nuovo docente per l’inclusione potrebbe dover seguire anche alunni con altri bisogni educativi speciali (BES), ampliando il proprio carico di lavoro ma senza garanzie di qualità né supporti concreti. Sullo sfondo rimane irrisolta la questione strutturale: oltre 120.000 docenti di sostegno sono precari, spesso non specializzati. L’intervento legislativo appare dunque simbolico, mentre mancano misure per la stabilizzazione del personale e l’aumento dell’organico di diritto.
La via dell’inclusione autentica
Tra le alternative possibili spicca il modello della cattedra inclusiva, già in sperimentazione in alcune scuole italiane. In questo schema, lo stesso docente copre sia ore curricolari che di sostegno, favorendo la conoscenza approfondita del gruppo classe e una collaborazione didattica più solida tra colleghi. Altrettanto centrale è la formazione iniziale dei futuri insegnanti, che dovrebbero ricevere competenze inclusive già all’università, superando la netta divisione tra docenti “normali” e “specializzati”. L’adozione di strategie come l’Universal Design for Learning (UDL) aiuterebbe tutti a lavorare con classi eterogenee, migliorando l’efficacia della didattica. Ma per realizzare tutto ciò, servono investimenti: senza risorse economiche, ogni tentativo riformatore rischia di rimanere solo sulla carta.