Incarichi esterni nella PA: quando scatta la restituzione dei compensi non autorizzati [Chiarimenti]
Ecco i chiarimenti della Corte dei Conti relativamente alla restituzione dei compensial del dipendente pubblico per gli incarichi esterni non autorizzati.

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Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con la sentenza n. 1/2025/QM/PROC, hanno fornito un'importante interpretazione giuridica sull'obbligo di restituzione dei compensi percepiti da pubblici dipendenti per incarichi esterni non autorizzati. Al centro del caso, un professore universitario a tempo pieno accusato di aver svolto attività retribuite senza averle preventivamente comunicate all’ateneo di appartenenza.
Tipologie di incompatibilità negli incarichi pubblici
La normativa vigente distingue chiaramente tre situazioni in merito agli incarichi esterni nel pubblico impiego:
- Incompatibilità assoluta: attività vietate in modo esplicito dalla legge.
- Incompatibilità relativa: attività potenzialmente compatibili ma svolte senza autorizzazione preventiva.
- Assenza di incompatibilità: incarichi leciti purché comunicati e privi di conflitti con le funzioni istituzionali.
Questa distinzione risulta fondamentale per determinare la legittimità della retribuzione ricevuta e la possibilità di restituzione delle somme indebitamente percepite. In particolare, l’incompatibilità relativa implica un obbligo di autorizzazione, la cui violazione può comportare sanzioni economiche.
Gli orientamenti giurisprudenziali a confronto
La questione dell’obbligo di restituzione ha generato un acceso dibattito giurisprudenziale, con due posizioni contrapposte:
- Una estensiva, che ritiene dovuta la restituzione dei compensi in tutti i casi di incarico non autorizzato, indipendentemente dal tipo di incompatibilità;
- L’altra, più restrittiva, che limita l’obbligo restitutorio ai soli casi di incompatibilità relativa, escludendo l’automatismo in presenza di incompatibilità assoluta.
Secondo questo secondo orientamento, la violazione del principio di esclusività non comporta automaticamente un danno erariale, ma è necessario valutare caso per caso la sussistenza e l’entità del danno economico all’amministrazione.
La decisione delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti
La Corte ha sposato la linea interpretativa più restrittiva, affermando che l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 non può essere applicato automaticamente in caso di incompatibilità assoluta. In questi casi, la restituzione dei compensi non è automatica, ma subordinata all’accertamento concreto di un danno all’interesse pubblico.
In altre parole, l’esercizio di incarichi vietati non autorizza in sé la richiesta di rimborso economico, se non viene dimostrata una effettiva lesione patrimoniale per l’amministrazione. Resta tuttavia possibile richiedere un risarcimento, ove siano provate conseguenze economiche negative riconducibili alla violazione del dovere di esclusiva.
Il principio di esclusività e le modifiche legislative recenti
Il principio di esclusività obbliga i dipendenti pubblici a dedicarsi in via prioritaria alle proprie funzioni, evitando conflitti di interesse o attività che possano comprometterne l’imparzialità. I professori universitari a tempo pieno, in particolare, non possono esercitare attività libero-professionale continuativa, ma possono svolgere incarichi esterni autorizzati, anche se retribuiti, a precise condizioni.
Le modifiche normative recenti hanno ampliato le possibilità di autorizzazione anche per incarichi presso soggetti privati con fini di lucro, purché senza poteri esecutivi. Questa apertura normativa richiede però un’attenta valutazione preventiva da parte delle amministrazioni per evitare il rischio di contenziosi futuri.
Il confine giuridico: tra legittimità e abuso
Con la sentenza, la Corte dei Conti ha segnato un importante confine giuridico: l’obbligo di riversamento dei compensi illegittimamente percepiti è previsto solo per gli incarichi non autorizzati ma potenzialmente compatibili (incompatibilità relativa). Nei casi di incarichi assolutamente vietati, la valutazione del danno economico va effettuata sulla base di criteri equitativi, evitando automatismi sanzionatori.
Questo orientamento contribuisce a una maggiore certezza del diritto per i dipendenti pubblici, chiarendo quando un’attività extraistituzionale può generare un obbligo di restituzione e quando invece la valutazione deve restare discrezionale e basata su elementi oggettivi.