Manovra 2026: più fondi alla difesa, tagli a scuola, sanità e pensioni
La Manovra 2026 accentua il divario sociale: sanità, scuola e pensioni penalizzate mentre la difesa vola al 2,5% del PIL.
La nuova Manovra del Governo Meloni per il triennio 2026-2028 aumenta la spesa militare, ma penalizza sanità, scuola, pensioni e stipendi. Ecco come le scelte politiche impatteranno sul ceto medio e sul futuro dei lavoratori pubblici.
Difesa al 2,5% del PIL: miliardi agli armamenti, tagli ai servizi pubblici
Il Governo ha deciso di puntare forte sulla spesa militare, con l’obiettivo di portarla al 2,5% del PIL entro il 2028 per allinearsi agli impegni NATO e al piano europeo ReArm. Questo significa oltre 23 miliardi di euro in più nei prossimi tre anni, con incrementi annuali pari a 3,5 miliardi nel 2026, 7 miliardi nel 2027 e ben 12 miliardi nel 2028. Si tratta di risorse che non rientrano nei vincoli di deficit, etichettate come "strategiche", e che coprono l'acquisto di armamenti, il potenziamento delle infrastrutture militari e nuove tecnologie per la difesa.
Ma mentre il comparto militare viene potenziato, le altre voci di spesa restano congelate o subiscono tagli indiretti. Sanità, scuola e pubblica amministrazione continuano a soffrire per carenze di personale, stipendi fermi e contratti rinnovati con aumenti irrisori. I dipendenti pubblici, in particolare, avvertono una crescente perdita di potere d’acquisto, alimentata anche da un'inflazione che erode il reddito reale. Il risultato è un senso diffuso di abbandono tra chi lavora nei servizi essenziali dello Stato.
IRPEF giù di poco, IRES ai minimi: vantaggi solo per chi ha capitali
Tra le poche misure fiscali annunciate, spicca il taglio dell’IRPEF per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, con una riduzione dell’aliquota dal 35% al 33%. Tuttavia, le prime simulazioni parlano di un risparmio pari a circa 20–30 euro al mese, cifra che non compensa l’aumento generalizzato del costo della vita. Le famiglie con redditi medi si trovano quindi di fronte a un beneficio quasi simbolico, che perde efficacia di fronte a bollette più care, tassi dei mutui in crescita e inflazione costante.
Diversa la situazione per chi possiede capitali o gestisce un’impresa. Resta in vigore l’IRES al 20%, introdotta per incentivare il reinvestimento degli utili aziendali. Una misura favorevole a imprenditori, holding e grandi gruppi industriali, ma senza impatto reale per i lavoratori dipendenti. La struttura fiscale, così com’è, tende a premiare chi genera reddito da capitale rispetto a chi lavora per uno stipendio. In questo contesto, la forbice tra redditi da lavoro e redditi da rendita si allarga, alimentando nuove tensioni sociali e disparità economiche.
Pensioni ferme, sanità in crisi e salario minimo ancora assente
La questione previdenziale rappresenta un altro nodo critico della Manovra. La tanto promessa uscita flessibile a 64 anni per chi è nel sistema misto non è stata attuata, e le nuove previsioni parlano di un innalzamento dell’età pensionabile di altri tre mesi dal 2027, legato all’aumento dell’aspettativa di vita. Le pensioni minime restano appena sopra i 600 euro, senza adeguamenti sufficienti per tenere il passo con l’inflazione reale. Chi lavora nella scuola, nella sanità o nelle forze dell’ordine si trova così costretto a prolungare la carriera lavorativa senza prospettive di miglioramento.
Anche la sanità pubblica continua a subire tagli indiretti. Il blocco delle assunzioni, l’aumento dei carichi di lavoro e la carenza di fondi mettono a dura prova medici, infermieri e operatori. Liste d’attesa lunghe, turni insostenibili e stipendi bassi rendono sempre più difficile garantire cure efficaci a tutti. Stesso copione nella scuola: organici ridotti, precarietà cronica e stipendi tra i più bassi d’Europa. Il salario minimo a 12 euro l’ora, richiesto da sindacati e opposizioni, non trova spazio nella Manovra, così come mancano interventi sugli affitti e sul rilancio industriale.
Il quadro complessivo lascia emergere un dato amaro: il ceto medio viene sacrificato in nome del rigore contabile e degli equilibri geopolitici, mentre le vere priorità del Paese — lavoro, welfare, scuola e sanità — restano ai margini dell’agenda politica.