Titoli di terzo livello: l’ADI difende l’alta formazione

L'ADI critica il MiC: ignorare i titoli di terzo livello nei concorsi svilisce le competenze e viola i principi costituzionali.

A cura di Scuolalink Scuolalink
26 novembre 2025 16:35
Titoli di terzo livello: l’ADI difende l’alta formazione - ADI Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani
ADI Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani
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La recente confusione normativa del MiC sui titoli di terzo livello allarma l'ADI. Rimuovere l'obbligo di alta formazione per i profili tecnici non è solo un errore strategico, ma rischia di violare la legge. Lo Stato deve tutelare le competenze avanzate, non mortificarle.

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L’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia (ADI) interviene sulla vicenda delle circolari del Ministero della Cultura con una domanda che è anche un campanello d’allarme: che immagine di sé dà uno Stato che abbassa i requisiti proprio nei ruoli chiamati a tutelare il suo patrimonio?

Il 10 novembre 2025 il MiC ha emanato la Circolare n. 133, cancellando l’obbligo di titoli di terzo livello – dottorato, scuole di specializzazione, master – per i profili tecnico-scientifici. Il 12 novembre, con la Circolare n. 57, quella scelta è stata annullata. Il passo indietro doveroso e scomposto rimanda un messaggio chiaro: l’alta formazione viene percepita come qualcosa di sacrificabile. Eppure il dottorato non è un vezzo: è definito come “terzo ciclo” dell’istruzione superiore dal DPR 382/1980 ed è disciplinato dal DM 226/2021 come percorso di ricerca avanzata a pieno titolo lavorativo.

Questa oscillazione normativa contrasta con lo spirito dell’articolo 97 della Costituzione e del decreto legislativo 165/2001, che chiedono alla Pubblica Amministrazione di reclutare il personale secondo criteri di buon andamento, imparzialità e competenza. Non è serio, né sul piano giuridico né su quello organizzativo, trasformare dall’oggi al domani un titolo di terzo livello da requisito sostanziale a dettaglio marginale, salvo poi tornare sui propri passi solo dopo le proteste delle società scientifiche e della comunità professionale.

Dietro quelle righe di circolare ci sono persone, progetti di vita e professionisti. C’è chi ha affrontato un dottorato con una borsa che spesso non arriva a uno stipendio base, chi ha utilizzato gli strumenti della legge 476/1984 per il congedo dal pubblico impiego e oggi scopre che quello stesso investimento potrebbe non valere più niente nei concorsi. C’è chi lavora già in soprintendenze, musei, archivi e vede il proprio percorso di terzo livello trattato come un “di più” superfluo. Non sono loro a valere troppo: è il sistema che li valuta troppo poco.

Come ADI chiediamo che il titolo di dottore di ricerca e gli altri percorsi di terzo livello tornino a essere riconosciuti e valorizzati nei bandi MiC e, più in generale, nella Pubblica Amministrazione, in coerenza con il quadro normativo vigente, dalla legge 240/2010 sul sistema universitario alle stesse regole concorsuali del pubblico impiego. Significa considerare il dottorato requisito qualificante per i profili tecnico-scientifici, soprattutto nelle posizioni di responsabilità, e attribuirgli un peso chiaro e stabile nella valutazione dei titoli.

Non stiamo chiedendo un privilegio, ma il rispetto di un principio semplice: se lo Stato investe in anni di ricerca, rigore metodologico e capacità di gestione di progetti complessi spesso in contesti internazionali, deve poi riconoscere queste competenze quando seleziona il proprio personale.

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