Videogiochi e minori: appello del CNDDU a Valditara contro i dark pattern

Un appello a Valditara per fermare i dark pattern nei videogiochi, proteggendo la salute e l'autodeterminazione dei minori a scuola.

A cura di Scuolalink Scuolalink
21 dicembre 2025 09:25
Videogiochi e minori: appello del CNDDU a Valditara contro i dark pattern - Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani
Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani
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La crescita digitale dei giovani è minacciata dai dark pattern, tecniche manipolatorie usate nei videogiochi. È fondamentale che la scuola italiana intervenga per formare una consapevolezza critica e tutelare i diritti dei minori contro le dipendenze comportamentali.

Videogiochi e minori: appello a Valditara contro i dark pattern

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani richiama l’attenzione delle istituzioni, del sistema scolastico e dell’intera comunità educante su una criticità di rilevanza giuridica, educativa e sociale: l’esposizione strutturale di bambini e adolescenti a pratiche di design persuasivo nei videogiochi digitali, riconducibili ai cosiddetti dark pattern, con effetti potenzialmente assimilabili alla ludopatia e in possibile contrasto con i principi di tutela dell’infanzia sanciti dall’ordinamento nazionale ed europeo.

Le evidenze statistiche indicano una diffusione massiva del videogioco nelle fasce d’età più giovani. L’84% dei maschi tra gli 11 e i 13 anni scarica videogiochi e, nella fascia tra i 14 e i 16 anni, l’81% continua a giocare con regolarità; percentuali solo lievemente inferiori si registrano tra le coetanee. A questi dati si affianca un elemento di particolare gravità: il 30,9% degli undicenni, il 28,9% dei tredicenni e il 22,1% dei quindicenni presenta indicatori di rischio di dipendenza. Numeri che impongono una riflessione seria alla luce dell’articolo 3 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che pone il superiore interesse del minore come criterio prioritario di ogni intervento pubblico.

Il problema non è il videogioco in quanto tale, ma l’adozione sistematica di dark pattern, ossia architetture di scelta intenzionalmente progettate per orientare il comportamento dell’utente. Si tratta di meccanismi che sfruttano bias cognitivi e vulnerabilità emotive, particolarmente accentuate in età evolutiva, e che risultano in tensione con i principi di correttezza, trasparenza e tutela rafforzata dei minori sanciti dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e dalla Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, recepita nel Codice del Consumo.

Le loot box, i modelli Pay to Win e Pay to Progress, la FOMO e la pressione sociale nei giochi di squadra costituiscono un ecosistema che normalizza la spesa compulsiva e la permanenza forzata nel gioco. Tali dinamiche incidono sul diritto al tempo libero e a uno sviluppo armonico della personalità, tutelato dall’articolo 31 della Convenzione ONU e dall’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il voto del Parlamento europeo del 26 novembre 2025, che ha vietato le loot box nei giochi accessibili ai minori, conferma la fondatezza di queste preoccupazioni.

Alla luce di questo quadro, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rivolge un appello al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, affinché la scuola diventi un presidio strutturato e consapevole di prevenzione. È necessario affiancare ai percorsi tradizionali di educazione civica e digitale interventi capaci di incidere concretamente sui comportamenti. L’introduzione di laboratori di reverse game design permetterebbe agli studenti di analizzare videogiochi reali, decostruirne i sistemi di ricompensa, casualità e attesa e riprogettarli secondo criteri etici, sviluppando una competenza critica che consenta di distinguere il coinvolgimento ludico dalla manipolazione.

Accanto a tali laboratori, risulta essenziale prevedere simulazioni economiche e cognitive che rendano visibile l’impatto reale delle microtransazioni e delle valute virtuali, traducendo gemme, crediti o V-Bucks in euro, tempo e lavoro necessario per ottenerli, così da restituire concretezza a scelte che oggi appaiono astratte. In questo percorso di responsabilizzazione, la scuola potrebbe rilasciare patenti digitali di consapevolezza al termine di percorsi formativi certificati sui dark pattern, analoghe ai patentini di educazione stradale, riconoscendo formalmente le competenze acquisite e rafforzando il senso di autodeterminazione degli studenti.

Parallelamente, l’istituzione di osservatori scolastici permanenti sul benessere digitale, composti da docenti, studenti, psicologi ed esperti di diritto, consentirebbe di monitorare i fenomeni emergenti, raccogliere dati e dialogare in modo strutturato con le istituzioni. In questo processo, il coinvolgimento attivo delle famiglie, attraverso workshop e linee guida condivise, è imprescindibile affinché la prevenzione non resti confinata all’aula ma si trasformi in una reale alleanza educativa.

Vietare i videogiochi sarebbe una risposta anacronistica e pedagogicamente inefficace. Educare, invece, è un dovere giuridico e costituzionale. In coerenza con il Digital Services Act (Regolamento UE 2022/2065), la scuola può e deve fornire agli studenti strumenti cognitivi e critici per riconoscere la manipolazione, esercitare una scelta libera e consapevole e tutelare il proprio diritto alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione nell’ambiente digitale. Solo così il gioco potrà tornare a essere uno spazio di libertà e crescita, non una trappola invisibile..

prof. Romano Pesavento, presidente CNDDU

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