Dipendenza da smartphone: l'allarme dell'esperto Massimo Gandolfini
La dipendenza da smartphone nei bambini. Gandolfini spiega i rischi delle nuove dipendenze e come i genitori possono intervenire.
La dipendenza da smartphone sta emergendo come una delle nuove patologie comportamentali più diffuse tra i giovani. Il professor Massimo Gandolfini, neurochirurgo e psichiatra, analizza come i dispositivi digitali stiano sostituendo le relazioni umane. Questo fenomeno non riguarda solo il tempo di utilizzo, ma attiva meccanismi neurologici profondi, specialmente nei bambini, che necessitano di amore genitoriale e non di un surrogato tecnologico.
Le nuove forme di dipendenza e il ruolo dello smartphone
Il professor Massimo Gandolfini, eminente neurochirurgo e psichiatra, lancia un monito sull'evoluzione dei comportamenti a rischio tra i giovani, sottolineando come il panorama delle dipendenze si sia notevolmente ampliato oltre il tradizionale abuso di sostanze stupefacenti. Oggi non si parla più solo di droghe, ma di patologie comportamentali compulsive che trovano terreno fertile nel mondo digitale, come la dipendenza da videogiochi, l'accesso precoce alla pornografia e gli acquisti compulsivi online.
Lo smartphone, spesso percepito come un semplice strumento di comunicazione, diventa in molti casi il punto d'ingresso per queste nuove forme di schiavitù, specialmente per i giovanissimi, agendo come un veicolo per dinamiche pericolose. Particolarmente insidiosi sono alcuni meccanismi integrati nei giochi online, come le cosiddette loot box, che introducono gradualmente i minori, anche bambini di dieci anni, a dinamiche simili al gioco d'azzardo, iniziando con denaro virtuale per poi passare a somme reali con conseguenze che si aggravano con l'età. Questa normalizzazione del rischio digitale rappresenta una delle sfide educative più complesse per la società contemporanea, richiedendo una vigilanza costante.
Dipendenza da smartphone: i segnali di allarme
L'analisi del professor Gandolfini si spinge oltre l'osservazione del comportamento esteriore, evidenziando come il rischio maggiore non sia solo ciò che si fa con il dispositivo, ma quello che lo smartphone va a sostituire nella sfera affettiva del bambino. Quando mancano relazioni umane stabili, coinvolgenti e rassicuranti, il dispositivo digitale può assumere un ruolo relazionale surrogato, diventando un pericoloso sostituto degli affetti primari e della socialità reale. A livello neurologico, questo processo attiva meccanismi legati all’ossitocina, lo stesso ormone che regola l'attaccamento affettivo, portando il bambino a sviluppare un legame emotivo patologico con l'oggetto tecnologico.
Riconoscere i segnali di questa dipendenza è fondamentale: non basta contare le ore di utilizzo, ma occorre osservare la reazione alla restrizione dell'uso del dispositivo. Comportamenti come rabbia intensa, irritabilità sproporzionata, pianto improvviso o un netto rifiuto di altre attività, uniti alla progressiva perdita di interesse per il gioco fisico e le amicizie, sono campanelli d'allarme che non devono essere sottovalutati.
La risposta istituzionale e le strategie genitoriali
Di fronte all'urgenza del tema, diversi Paesi europei come Francia e Spagna stanno introducendo nuove e più stringenti regolamentazioni per limitare l'accesso dei minori ai social network, alzando l'età minima a 16 anni e imponendo il consenso genitoriale verificato. Anche in Italia il dibattito politico è aperto, con proposte che mirano a responsabilizzare maggiormente le piattaforme digitali, obbligandole a una maggiore trasparenza nei contenuti accessibili ai minori e a implementare limiti automatici sul tempo di utilizzo. Tuttavia, l'azione più efficace resta quella familiare, e Gandolfini insiste sulla necessità di far percepire al bambino che lo smartphone è solamente uno strumento utile, non la ragione di vita dei genitori.
L'esperto sottolinea che è fondamentale dare l'esempio, poiché i bambini "devono sentire l'amore dei genitori, non l'amore dello smartphone", suggerendo che la qualità della relazione è la vera prevenzione. Non si tratta quindi di vietare la tecnologia, ma di stabilire regole chiare, proporre alternative stimolanti e condividere attività senza dispositivi, poiché un bambino che si sente ascoltato e coinvolto avrà meno bisogno di rifugiarsi nello schermo.