Ferie non godute: il Tribunale di Rovigo assegna 9mila euro ad una docente

Il tribunale di Rovigo dà ragione a un'insegnante precaria per le ferie non godute. Decisiva la mancata informazione da parte del datore di lavoro.

A cura di Scuolalink Scuolalink
27 ottobre 2025 20:00
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Una docente precaria ha ottenuto un significativo risarcimento per ferie non godute. Il Tribunale di Rovigo ha condannato l'amministrazione a pagare quasi 9.000 euro. La sentenza stabilisce che il diritto alle ferie è irrinunciabile. Il datore di lavoro ha un obbligo di informazione preciso.

Senza un avviso formale sulla perdita del diritto, le ferie vanno monetizzate.

Il Tribunale del Lavoro di Rovigo ha emesso una sentenza esemplare lo scorso 24 ottobre, accogliendo pienamente le richieste di una docente precaria. La causa, patrocinata dall'Anief, verteva sul diritto alla monetizzazione delle ferie non godute accumulate durante un lungo periodo di precariato. Nello specifico, la docente aveva svolto otto diverse supplenze annuali tra il 2015 e il 2024, senza mai ricevere l'indennità sostitutiva. Il giudice ha condannato l'amministrazione scolastica a corrispondere la somma di 8.925,80 euro, calcolata sulla base dei giorni non fruiti, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla data di maturazione del diritto fino al saldo effettivo.

La sentenza smonta la tesi difensiva dell'amministrazione, spesso basata sulla presunzione che le ferie dei docenti precari debbano considerarsi automaticamente fruite durante i periodi di sospensione delle lezioni, come le vacanze natalizie o pasquali. Il tribunale ha ribadito che il diritto alle ferie è un principio "irrinunciabile" e protetto a livello costituzionale ed europeo, che non può "sciogliersi come la neve al sole" per una mera prassi amministrativa. La mancata fruizione del riposo, se non imputabile a una scelta libera e consapevole del lavoratore (adeguatamente informato), si traduce in un danno da usura psicofisica che deve essere indennizzato.

L'obbligo di informazione del datore di lavoro

La decisione del giudice di Rovigo si fonda solidamente sulla giurisprudenza europea. Il punto cardine è l'inadempimento del datore di lavoro al suo obbligo di informazione. Come specificato nelle motivazioni, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (con le tre sentenze della Grande Sezione del 6 novembre 2018, C-569/16, C-619/16, C-684/16) ha fornito un'interpretazione vincolante dell'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE e dell'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Corte ha stabilito che il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere perso automaticamente solo perché il lavoratore non le ha richieste prima della cessazione del rapporto.

La perdita del diritto, e della relativa indennità, è subordinata a una condizione precisa: il datore di lavoro deve dimostrare di aver messo il lavoratore "effettivamente in condizione" di esercitare tale diritto. Ciò implica un dovere di diligenza proattivo. L'amministrazione deve "assicurarsi concretamente e in piena trasparenza" che il dipendente sia consapevole. Deve invitarlo, "se necessario formalmente", a prendere le ferie, informandolo in modo "accurato e in tempo utile" che, in caso contrario, le perderà "al termine del periodo di riferimento" o non potranno essere sostituite da un'indennità finanziaria. Senza questa comunicazione formale, il diritto alla monetizzazione sopravvive alla fine del contratto.

Ferie non godute: Cassazione e prescrizione decennale

Questo orientamento europeo è stato pienamente recepito dalla Corte di Cassazione italiana. I giudici di legittimità (Cass. 3021/2020) hanno consolidato il principio secondo cui l'indennità sostitutiva spetta al docente a tempo determinato che non ha richiesto le ferie, a meno che il datore di lavoro non fornisca la prova rigorosa di averlo "inutilmente invitato a goderne". Tale invito deve includere l'espresso "avviso della perdita" del diritto in caso di mancata fruizione. Un aspetto tecnico, ma decisivo, affrontato a Rovigo riguarda la prescrizione. Il Ministero resistente aveva eccepito la prescrizione breve (quinquennale). Il giudice ha respinto questa eccezione, aderendo alla tesi della prescrizione ordinaria decennale.

La Cassazione ha infatti chiarito che l'indennità ha natura mista: è retributiva (per il lavoro svolto in periodi che dovevano essere di riposo) ma è anche risarcitoria. Ai fini della prescrizione, prevale il carattere risarcitorio – volto a compensare il danno biologico e psicofisico derivante dalla perdita del riposo – il quale è soggetto al termine decennale. Come stabilito da Cass. 17643/2023, tale termine decorre non dalla maturazione annuale, ma dalla "cessazione del rapporto di lavoro", momento in cui il diritto può essere fatto valere. Questo precedente permette ai precari di cumulare le richieste relative a più contratti a termine.

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