Homeschooling in Italia: da scelta di nicchia a movimento educativo in espansione
L'homeschooling in Italia cresce rapidamente: numeri, approcci educativi alternativi e una nuova idea di apprendimento tra casa, viaggi e vita quotidiana.


L’homeschooling in Italia non è più una scelta di nicchia, ma un’opzione educativa sempre più diffusa che sfida i modelli tradizionali di istruzione. Negli ultimi anni, il numero di famiglie che educano i propri figli al di fuori del sistema scolastico formale è aumentato in modo significativo, spinto dal desiderio di libertà pedagogica, attenzione individuale e un approccio più umano e flessibile all’apprendimento. Ma cosa significa oggi fare homeschooling in Italia? Chi sono le famiglie che scelgono questa strada e perché lo fanno?
Oltre il mito della “scuola a casa”: un caleidoscopio di approcci educativi
Uno degli stereotipi più radicati sull’homeschooling è l’idea che consista semplicemente nel replicare la scuola tra le mura domestiche. In realtà, l’indagine LAIF rivela una realtà molto più sfaccettata: le famiglie italiane che educano in casa adottano metodi estremamente diversificati, spesso ibridi, che spaziano dal modello scolastico più tradizionale all’unschooling radicale.
Circa il 20% degli intervistati si identifica apertamente con l’unschooling, una filosofia educativa che promuove l’autonomia totale del bambino nei propri percorsi di apprendimento. Altre famiglie preferiscono una struttura più definita, ma senza rinunciare alla libertà di personalizzare tempi, modalità e contenuti.
Focus sulla primaria e prevalenza nelle regioni del Nord
A livello geografico, il fenomeno è più diffuso nel Nord Italia, specialmente in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Le famiglie coinvolte hanno spesso uno o due figli in età scolare e prediligono questa scelta soprattutto nei primi anni dell’istruzione obbligatoria.
I dati confermano un vero e proprio boom nella scuola primaria: si è passati da 2.243 bambini homeschooler nel 2018 a oltre 10.000 nel 2021, con una concentrazione significativa nella fascia d’età tra i 6 e gli 11 anni. Il motivo? Maggiore flessibilità, minore pressione didattica, e l’importanza attribuita a un apprendimento esperienziale e personalizzato.
Vita sociale: una dimensione attiva, non un’assenza
Una delle critiche più frequenti all’homeschooling riguarda la presunta mancanza di socializzazione. Tuttavia, lo studio LAIF ribalta questa convinzione: oltre l’80% dei bambini educati in famiglia partecipa ad attività sociali per almeno sette ore alla settimana, principalmente sotto forma di gioco libero, sport, laboratori, incontri di gruppo e uscite culturali.
In molti casi, questi bambini mantengono rapporti costanti anche con coetanei che frequentano la scuola pubblica o privata, integrandosi così in una rete sociale eterogenea e ricca. La socializzazione, quindi, non è assente, ma piuttosto qualitativamente diversa: meno gerarchica, più intergenerazionale e libera dai vincoli della classe scolastica.
Imparare dalla vita: un approccio esperienziale
Ciò che emerge con forza è un modello educativo fortemente radicato nella quotidianità. L’apprendimento non si limita a manuali o compiti, ma nasce dall’esperienza diretta: partecipazione alla vita domestica, cucina, gestione della casa, orto, viaggi, lettura condivisa, arte, musica, natura.
Secondo l’indagine, oltre il 90% delle famiglie dichiara di viaggiare regolarmente, anche all’estero, integrando le esperienze culturali, linguistiche e relazionali nel percorso formativo. L’apprendimento diventa così fluido, interdisciplinare, e strettamente connesso al mondo reale.
Pochi strumenti esterni, tanta autodidattica familiare
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, solo una minoranza delle famiglie si affida a scuole parentali o piattaforme online strutturate. Circa il 70% degli intervistati preferisce un’impostazione autonoma, con i genitori come principali educatori, soprattutto nella scuola primaria. Questo consente una personalizzazione spinta che tiene conto dei ritmi, degli interessi e delle attitudini individuali dei bambini.
Il ricorso a tutor, laboratori o corsi esterni si intensifica solo nella scuola secondaria, quando aumentano le esigenze di specializzazione e preparazione per gli esami di idoneità o per l’ingresso nella scuola superiore.
Covid-19 come acceleratore, non come origine del fenomeno
L’emergenza pandemica del 2020 ha senza dubbio agito da detonatore, spingendo molte famiglie a sperimentare soluzioni alternative alla scuola tradizionale. Tuttavia, secondo l’indagine, un quinto delle famiglie homeschooler aveva già fatto questa scelta prima del Covid, segno che la spinta all’homeschooling è più profonda e strutturale.
Le motivazioni principali? Insoddisfazione verso l’approccio didattico scolastico, desiderio di maggiore libertà, criticità legate a bisogni educativi speciali o iperstimolazione cognitiva, e – non da ultimo – una volontà di recuperare il senso della relazione educativa tra genitori e figli.
Una nuova frontiera pedagogica tutta italiana
L’homeschooling in Italia non è solo una scelta educativa, ma anche un laboratorio di sperimentazione pedagogica, dove si mettono in discussione i confini tradizionali tra educazione formale e informale, tra scuola e vita, tra docente e genitore.
In un contesto scolastico nazionale spesso criticato per rigidità e carenze strutturali, questo movimento propone un modello alternativo, fondato sulla centralità dell’individuo, la flessibilità metodologica e la partecipazione attiva della famiglia. Un modello che, pur non privo di criticità e sfide (come il riconoscimento legale, l’equità sociale o la formazione dei genitori), offre spunti interessanti anche per ripensare la scuola pubblica.