Maltrattamenti a scuola: sì al risarcimento anche per chi assiste
La Cassazione conferma che i maltrattamenti a scuola includono la violenza assistita, dando diritto al risarcimento anche ai minori che vedono le violenze.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 30123/2025) interviene sui maltrattamenti a scuola. La Suprema Corte ha stabilito che il risarcimento spetta non solo alle vittime dirette di violenze fisiche e psicologiche, ma anche ai bambini che assistono passivamente. Questa "violenza assistita" configura il minore come persona offesa dal reato. La decisione annulla il diniego di risarcimento per una bambina testimone.
La Cassazione conferma: sono maltrattamenti, non "abuso di correzione"
I ricorsi presentati dai due insegnanti di una scuola d'infanzia, condannati in appello per maltrattamenti aggravati (art. 572 c.p.), sono stati definitivamente respinti dalla Sesta Sezione Penale della Cassazione. Gli imputati avevano tentato di ottenere una riqualificazione del reato, sostenendo che le loro condotte non configurassero un'abituale vessazione. Chiedevano di derubricare le accuse nel reato più lieve di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.). La difesa sosteneva che si trattasse di episodi isolati e che le prove, come le chat dei genitori, fossero state travisate.
La Suprema Corte ha rigettato integralmente questa linea difensiva. Le prove acquisite, in particolare le videoriprese ambientali installate nella scuola, hanno documentato episodi numerosi, ripetuti anche nell'arco della stessa giornata, e condensati in un breve lasso di tempo. Questo quadro probatorio ha dimostrato in modo inconfutabile l'abitualità delle condotte, requisito fondamentale del reato di maltrattamenti. Gli atti consistevano in atteggiamenti gratuitamente violenti verso gli alunni, che venivano tirati, spinti, colpiti e minacciati.
Maltrattamenti a scuola: la figura del minore testimone
La Cassazione ha inoltre ribadito un principio cruciale sulla differenza tra i due reati. I giudici hanno spiegato che l'abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.) presuppone un uso eccessivo, immoderato, di metodi che sono in sé leciti e compatibili con la finalità educativa. Al contrario, il ricorso alla violenza, sia fisica che psicologica, non è mai un mezzo educativo lecito. Le condotte aggressive, incompatibili con un armonico sviluppo della personalità del minore, esulano totalmente da tale fattispecie e rientrano pienamente nei maltrattamenti (art. 572 c.p.).
La Corte d'Appello aveva correttamente applicato questo principio, ravvisando nelle azioni degli insegnanti un clima generale vessatorio che induceva sofferenza e umiliazione nei bambini, persone offese particolarmente vulnerabili data la loro età prescolare. La difesa ha anche contestato le modalità di assunzione delle testimonianze dei minori, ipotizzando un "contagio dichiarativo", ma la Corte ha validato il metodo, sottolineando la spontaneità dei racconti e la solidità delle prove video.
Annullamento con rinvio per la valutazione del danno
Se i ricorsi degli imputati sono stati respinti, la Cassazione ha invece accolto quello della parte civile G.G., genitore di una minore (A.G.) della stessa classe. Alla bambina era stato negato il risarcimento dalla Corte d'Appello, nonostante fosse stata chiesta la condanna al danno per "violenza assistita". La Suprema Corte ha rilevato un grave vizio di motivazione. I giudici di secondo grado, pur riconoscendo il risarcimento ad altri compagni di classe che avevano assistito alle violenze, lo avevano negato alla minore A.G. senza una giustificazione.
La Corte d'Appello ha omesso di valutare prove documentali decisive (elenchi di classe, turni, video) che attestavano la presenza della bambina durante i fatti. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza su questo punto, ribadendo che il minore che assiste ai maltrattamenti è a tutti gli effetti persona offesa dal reato. Questo diritto al risarcimento, hanno precisato i giudici, era già un principio consolidato prima che la legge "Codice Rosso" (L. 69/2019) lo esplicitasse. La parola passa ora al giudice civile competente per la nuova valutazione del danno.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso della parte civile G. G., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore G. A., annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con riferimento alla predetta parte civile, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità. Rigetta i ricorsi degli imputati D. G. e L.M.L. che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in euro 3.686 in favore di D. M. G. e in euro 3.686 in favore di G. I.; nonché in euro 4.350 in favore di C. M. e D. F. A., in euro 4.350 in favore di C. A. e P. G., e in euro 4.350 in favore di R. S. e D. M. G., oltre per tutte le parti accessori di legge.