Permessi per studio e università telematiche: la Cassazione cambia le regole
La Cassazione chiarisce che i permessi studio valgono per università telematiche solo se le lezioni coincidono con l’orario di lavoro.


La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25038/2025 ha stabilito nuovi principi sull’utilizzo dei permessi per diritto allo studio (150 ore) da parte dei lavoratori iscritti alle università telematiche. I giudici chiariscono che i permessi valgono solo in caso di coincidenza tra lezioni e orario di servizio, escludendo quindi l’automatismo per i corsi online fruibili in modalità asincrona.
Il caso: la controversia tra lavoratrici e datore di lavoro
La vicenda nasce dal ricorso di alcune lavoratrici iscritte a corsi universitari online, che avevano ottenuto in primo grado il riconoscimento del diritto a usufruire dei permessi studio. La datrice di lavoro impugnava la decisione, sostenendo che le dipendenti non avessero dimostrato la coincidenza degli orari dei corsi con quelli di servizio.
Secondo l’azienda, la differenza sostanziale tra corsi in presenza e corsi telematici risiede proprio nella flessibilità oraria dei secondi: gli studenti online non sono vincolati a orari fissi e possono seguire le lezioni in qualsiasi momento, anche al di fuori dell’orario lavorativo.
La Cassazione ha accolto tale tesi, affermando che l’assenza giustificata dal lavoro deve essere determinata da un vincolo oggettivo di orario, non da una scelta discrezionale del lavoratore. La coincidenza temporale tra attività didattica e prestazione lavorativa costituisce quindi condizione essenziale per il diritto ai permessi studio.
Cosa stabilisce la Cassazione: requisiti e limiti dei permessi
La Corte richiama precedenti sentenze (Cass. n. 10344/2008 e n. 17128/2013), ribadendo che la frequenza ai corsi – requisito necessario per ottenere i permessi retribuiti – coincide con la partecipazione alle lezioni durante l’orario di servizio e non comprende la semplice attività di studio o preparazione individuale.
Ne consegue che i permessi retribuiti “possono essere concessi solo per la partecipazione ai corsi indicati nella clausola contrattuale in orari coincidenti con quelli di servizio”, escludendo altre attività complementari o di supporto.
Per usufruirne, il dipendente deve presentare apposita certificazione rilasciata dall’università che attesti la partecipazione alle lezioni per le ore effettivamente coincidenti con l’orario di lavoro. Senza tale prova, l’amministrazione o il datore di lavoro non possono riconoscere la legittimità delle assenze.
Università telematiche e diritto allo studio: cosa cambia
Nel caso delle università telematiche, la Cassazione sottolinea che le lezioni sono spesso erogate in modalità asincrona, cioè registrate e accessibili in qualsiasi momento. In assenza di vincoli orari rigidi, il lavoratore può organizzare lo studio in modo flessibile, compatibilmente con l’attività lavorativa.
Per questo motivo, la Corte conclude che il diritto a usufruire dei permessi studio non può essere riconosciuto automaticamente, ma solo se l’interessato dimostra di aver seguito lezioni online in orari coincidenti con il proprio turno di servizio.
Il permesso, ricorda la Cassazione, serve unicamente a giustificare l’assenza dal lavoro e deve essere sempre documentato con una dichiarazione ufficiale dell’università attestante la frequenza per le ore non lavorate, fino al limite complessivo delle 150 ore annuali.
La decisione segna un importante chiarimento interpretativo, destinato a influenzare non solo il comparto privato ma anche la pubblica amministrazione, dove migliaia di dipendenti frequentano corsi universitari online per accrescere le proprie competenze professionali.