Previsioni Istat 2050: aumenta l'invecchiamento e in pensione a 69 anni
L'invecchiamento della popolazione sposta l'età per la pensione. Il report Istat 2050 analizza l'impatto sul lavoro, specie per le donne.


L'Italia invecchia e l'età della pensione si alza. L'ultimo report Istat delinea uno scenario complesso: nel 2050 si andrà in pensione a quasi 69 anni. Questo impatto dell'invecchiamento demografico richiederà una revisione della forza lavoro. Per mantenere gli attuali livelli occupazionali, servirà un contributo maggiore, soprattutto dalle donne e dalle fasce oggi inattive.
Lo scenario Istat sull'età di pensione nel 2050
L'analisi previsionale dell'Istat dipinge un futuro demografico che inciderà profondamente sul sistema pensionistico e sul mercato del lavoro. Se l'aspettativa di vita continuerà a salire come previsto nei prossimi 25 anni, la soglia anagrafica per la pensione di vecchiaia subirà un inevitabile aggiustamento. Secondo il report, l'applicazione della normativa vigente (la cosiddetta "legge Fornero") porterebbe l'asticella a 68 anni e 11 mesi entro il 2050.
È fondamentale precisare che questo dato non rappresenta l'età media di uscita dal lavoro, la quale rimarrebbe influenzata dalle diverse forme di pensionamento anticipato. Si tratterebbe, invece, del requisito anagrafico standard per accedere alla prestazione di vecchiaia. Questa dinamica rende obsoleta l'attuale definizione di "popolazione attiva", convenzionalmente fissata tra i 15 e i 64 anni. L'Istat evidenzia la necessità di includere nelle statistiche sulla forza lavoro anche la fascia 65-74 anni, stimando che nel 2050 ben il 16% di questa coorte sarà ancora occupata.
L'impatto dell'invecchiamento sulla forza lavoro
Il secondo effetto tangibile dell'invecchiamento demografico è la contrazione della popolazione in età lavorativa. Le stime indicano che nel 2050 la fascia 15-64 anni scenderà sotto i 30 milioni di individui. Attualmente, l'Italia conta circa 24 milioni di occupati in questa fascia, con un tasso di occupazione del 62,6%.
Mantenere invariato il numero assoluto di lavoratori (i 24 milioni attuali) richiederà uno sforzo notevole: il tasso di attività (che include occupati e disoccupati in cerca di lavoro) dovrà salire dall'attuale 66,6% al 73,2%. La sfida principale sarà quindi compensare il calo demografico con un aumento della partecipazione. Questo incremento, secondo l'Istat, sarà trainato in modo significativo dalla componente femminile. La popolazione di donne inattive è prevista in netto calo (fino a -40,3%).
Il ruolo delle donne e il divario territoriale
La crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro non è un dato casuale, ma la conseguenza diretta del maggiore livello di istruzione raggiunto dalle generazioni più giovani rispetto a quella delle "baby boomer", che attualmente stanno uscendo dal mondo del lavoro. Questo "tesoretto" di competenze femminili sarà cruciale per sostenere l'occupazione futura. Tuttavia, il rapporto Istat evidenzia anche un aumento delle disparità territoriali. Sebbene il tasso di attività sia previsto in crescita anche nel Mezzogiorno (+5,8%, poco sotto la media nazionale del +6,6%), il divario con il resto del Paese è destinato ad allargarsi.
Nel 2050, le regioni meridionali dovrebbero raggiungere un tasso di attività di poco inferiore al 62%. Nello stesso periodo, il Centro e il Nord vedranno tassi di partecipazione molto più elevati, con punte stimate tra il 77% e il 78% in alcune regioni. Questo scenario evidenzia una frattura occupazionale sempre più marcata tra le diverse aree dell'Italia.