Reddito minimo in Italia: come l’Assegno di Inclusione ha cambiato l’assistenza sociale

Assegno di Inclusione e SFL nel 2025: requisiti, importi, limiti e impatto della riforma sul nuovo reddito minimo in Italia.

13 ottobre 2025 13:31
Reddito minimo in Italia: come l’Assegno di Inclusione ha cambiato l’assistenza sociale - assegno di inclusione
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Dal 2024, l’Italia ha voltato pagina in tema di sostegno alla povertà, con l’introduzione dell’Assegno di inclusione (Adi). Questa misura ha sostituito il Reddito di Cittadinanza (RdC), segnando una svolta nella filosofia del welfare nazionale. Le nuove regole, ispirate da criteri più rigidi e categoriali, hanno ridotto la platea di beneficiari e sollevato interrogativi sull’effettiva capacità dello Stato di garantire una rete di sicurezza sociale universale e inclusiva. In questo articolo analizziamo i punti chiave della riforma, gli impatti sui cittadini e il confronto con gli standard europei.

Chi ha diritto all’Assegno di Inclusione: nuove regole e limiti

L’Assegno di inclusione non si rivolge più a tutte le persone in povertà, ma solo a chi rientra in categorie ben definite. Per accedere al beneficio serve soddisfare tre condizioni principali: la prova dei mezzi, la residenza stabile in Italia da almeno 5 anni e la composizione del nucleo familiare. In particolare, solo i nuclei con minori, disabili, over 60 o soggetti seguiti dai servizi sociali possono ricevere l’Adi.

Questa nuova “categorialità” esclude intere fasce di popolazione in difficoltà economica, come gli adulti soli tra i 18 e i 59 anni, anche se disoccupati o in condizioni precarie. Per loro esiste il Supporto per la formazione e il lavoro (SFL), un sussidio temporaneo di 500 euro mensili, erogato solo durante la partecipazione a corsi o tirocini. A differenza dell’Adi, il SFL non tiene conto del nucleo familiare ma solo della persona, riducendo ulteriormente il perimetro dell’assistenza.

Meno beneficiari e meno sostegno: gli effetti della riforma del 2023

La riforma del reddito minimo ha prodotto un effetto immediato: un forte calo del numero di nuclei beneficiari. Dai circa 1,4 milioni di famiglie sostenute dal RdC, si è scesi a 650 mila nel 2024, secondo i dati INPS. Nonostante un lieve rimbalzo nel 2025, il nuovo sistema continua a escludere una parte significativa di famiglie in povertà assoluta.

Due modifiche principali spiegano questa riduzione:

  1. L’introduzione del requisito categoriale che limita l’accesso solo ai "non occupabili".

  2. Il cambio della scala di equivalenza che penalizza le famiglie numerose e i working poor, escludendo gli adulti senza carichi di cura dal calcolo del reddito equivalente.

Gli importi medi erogati si sono ridotti, tranne nei casi di presenza di disabili, dove l’Adi può superare anche i 1.200 euro mensili. Tuttavia, per la maggioranza dei beneficiari, l’ammontare risulta inferiore rispetto a quanto garantito dal precedente RdC.

Il sistema italiano a confronto con l’Europa: un passo indietro sull’inclusività

Nel panorama europeo, l’Italia ha scelto una strada più restrittiva. Mentre molte nazioni puntano ad ampliare la copertura dei redditi minimi, l’Adi segue una logica selettiva che limita l’accesso e abbassa il potenziale impatto sulla povertà. Secondo il Rapporto Caritas Cares 2025, i sistemi più efficaci in Europa garantiscono:

  • trasferimenti che raggiungono almeno il 60% del reddito mediano nazionale;

  • accessibilità universale, indipendente da età o composizione familiare;

  • integrazione reale con servizi sociali e politiche attive.

Il caso italiano si discosta da questi standard: la prestazione non copre adeguatamente il costo della vita, come dimostra l’aumento ISEE del solo 8,3%, contro un’inflazione reale di oltre il 18% dal 2019. Inoltre, la frammentazione tra Adi e SFL rende il sistema più complesso e meno equo, specialmente per chi si trova in una zona grigia di disagio economico ma non rientra nei criteri ufficiali.

Conclusione

La riforma del 2023 ha ridisegnato profondamente il concetto di reddito minimo in Italia, segnando una transizione dal modello universale selettivo del RdC a uno più esclusivo e categoriale. Le conseguenze si vedono nella riduzione dei beneficiari, nel minor impatto sulla povertà, e in una maggiore disuguaglianza tra chi riceve e chi resta fuori. A livello europeo, l’Italia sembra allontanarsi dagli standard auspicati per garantire dignità, accessibilità e inclusione. L’adozione di una direttiva UE vincolante sul reddito minimo, come proposta da Caritas Europa, potrebbe rappresentare il prossimo passo per uniformare e rafforzare le politiche sociali in tutto il continente.

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