Stipendi PA, la Consulta dichiara illegittimo il tetto dei 240mila euro: la scuola sempre più al palo
La Corte Costituzionale cancella il tetto di 240mila euro per gli stipendi pubblici, aumentando il divario con le retribuzioni di docenti e personale ATA.


La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 135/2025, ha dichiarato l’illegittimità del limite di 240mila euro annui per gli stipendi dei dirigenti pubblici, magistrati e manager di società controllate. Questa decisione, che ripristina il parametro legato alla retribuzione del primo presidente di Cassazione, accentua il divario con i salari del personale della scuola.
Il ripristino del vecchio parametro
La Consulta ha cancellato il “tetto” di 240mila euro annui per gli stipendi dei dipendenti pubblici, introdotto dal governo Renzi nel 2014. La Corte ha ritenuto tale misura, contenuta nel decreto legge n. 66/2014, una disposizione temporanea, giustificata all’epoca dalla crisi finanziaria. Di conseguenza, si ritorna a quanto stabilito dal governo Monti con il decreto legge n. 201/2011, che fissava il limite massimo di guadagno nel settore pubblico in base allo stipendio del primo presidente di Cassazione. Sarà ora un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri a definire il nuovo importo aggiornato.
Le motivazioni della Corte Costituzionale
La decisione della Corte Costituzionale si allinea ai principi di altri ordinamenti europei e richiama una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (cause C-146/23 e C-374/23) che aveva già criticato simili riduzioni retributive per i magistrati. Secondo la Consulta, la norma del 2014, con il passare del tempo, ha perso quel carattere di temporaneità necessario a garantirne la compatibilità con la Costituzione, in particolare per quanto riguarda l'indipendenza della magistratura. L’incostituzionalità dichiarata non è retroattiva e avrà effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.
Il divario con gli stipendi della scuola
La sentenza della Consulta evidenzia ulteriormente la disparità di trattamento economico all'interno della pubblica amministrazione. Mentre per le figure apicali si prospettano aumenti significativi, il personale della scuola, in particolare docenti e ATA, continua a percepire retribuzioni notevolmente inferiori. Secondo i dati Aran, un insegnante guadagna in media 32.500 euro l'anno, circa 10.000 euro in meno della media dei dipendenti pubblici. La situazione è ancora più critica per i precari, con stipendi che si aggirano intorno ai 1.500 euro netti mensili per i docenti e tra i 1.100 e i 1.200 euro per il personale Ata, cifre insufficienti a fronteggiare il costo della vita.
In sintesi
La rimozione del tetto di 240mila euro annui per gli stipendi dei dirigenti pubblici, decisa dalla Corte Costituzionale, se da un lato ripristina un principio di adeguatezza retributiva per le alte cariche dello Stato, dall'altro accentua il profondo divario con le retribuzioni del comparto scuola, dove docenti e personale ATA continuano a essere tra i meno pagati della pubblica amministrazione.