Crepet: manifestare è un diritto, ma senza violenza
Crepet difende il diritto a manifestare ma mette in guardia contro proteste violente. Invita alla non violenza, citando Gandhi e Mandela.


Crepet invita a riflettere sul senso della protesta. Difende il diritto a manifestare, ma mette in guardia contro derive violente che colpiscono i più deboli. Dalla guerra in Medio Oriente all’uso distorto della tecnologia, lo psichiatra richiama l’esempio di Gandhi e Mandela: il dissenso deve restare civile per non trasformarsi in nuova forma di oppressione.
Diritti e libertà sotto pressione
Paolo Crepet denuncia l’erosione progressiva delle libertà, sottolineando come negli ultimi trent’anni si sia assistito a una riduzione dei diritti fondamentali dei cittadini. Il problema, evidenzia, non riguarda soltanto i regimi autoritari, ma si estende anche alle democrazie avanzate. A suo avviso, la tecnologia digitale ha limitato lo spazio del pensiero libero, rendendolo privilegio di pochi e alimentando un’omologazione culturale che riduce la capacità critica delle persone. In questo scenario, il diritto a manifestare diventa ancora più importante, ma deve essere esercitato senza degenerare in nuove forme di violenza.
Proteste e risposta civile
Parlando della guerra in Medio Oriente e delle immagini drammatiche provenienti da Gaza, Crepet riconosce la legittimità dell’indignazione, ma invita a una reazione basata sulla non violenza. Cita come modelli Gandhi e Mandela, figure che hanno incarnato la forza del dissenso civile e pacifico contro le ingiustizie. Crepet si oppone invece a forme di protesta distruttive come il danneggiamento delle vetrine delle banche, che non intaccano i veri responsabili ma generano ulteriore tensione sociale. La violenza, afferma, non può mai essere la risposta alla violenza.
Il limite del dissenso
Pur ribadendo che manifestare è un diritto inviolabile, Crepet critica quelle forme di protesta che finiscono per penalizzare chi già vive situazioni di disagio. Porta come esempio il blocco dei treni pendolari, che ricade su persone comuni, costrette a subire ulteriori difficoltà per colpe non proprie. Una simile azione, sostiene, è di fatto una forma di violenza mascherata. Con questa posizione, lo psichiatra lancia un messaggio forte: la protesta non deve trasformarsi in prevaricazione, ma rimanere uno strumento di crescita civile e di difesa autentica dei diritti.