Schettini: 'Cellulare ai bambini? È putrefazione mentale'

Vincenzo Schettini denuncia l’uso precoce degli smartphone: 'È putrefazione mentale. I genitori devono dire no e insegnare la vita vera.'

12 ottobre 2025 16:55
Schettini: 'Cellulare ai bambini? È putrefazione mentale' - Vincenzo Schettini
Vincenzo Schettini
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Il professore e divulgatore Vincenzo Schettini lancia un duro monito contro l’uso precoce dello smartphone: “Un bambino di otto anni non deve avere accesso a internet. È una putrefazione mentale.” L’appello è rivolto ai genitori: servono limiti chiari, educazione alla creatività e coraggio nel dire no.

I bambini devono vivere, non scrollare

In un video condiviso sul suo profilo Instagram, Vincenzo Schettini affronta senza mezzi termini la diffusione degli smartphone tra i più piccoli. Con tono fermo, denuncia la “putrefazione mentale” che colpisce le nuove generazioni a causa dell’esposizione precoce ai dispositivi digitali. “Questo ci ha rovinati, ha rovinato la nostra vita, e sapete la vita di chi sta rovinando? Dei bambini”, afferma, rivolgendosi non solo ai genitori, ma anche a educatori e ragazzi.
Per Schettini, non esiste alcuna giustificazione per consentire a un bambino di otto anni di navigare liberamente su internet. A quell’età, la mente ha bisogno di esperienze concrete e relazionali, non di simulazioni virtuali. “Deve disegnare, colorare, immaginare, parlare, suonare”, ripete con insistenza, sottolineando come le attività manuali e artistiche siano fondamentali per lo sviluppo emotivo e cognitivo. La ripetizione del verbo “suonare” diventa un invito simbolico a sostituire la passività dello schermo con il gesto vivo e creativo della musica.

Il ruolo dei genitori: dire no per educare

Schettini richiama gli adulti alla loro responsabilità educativa. “Vorrei un padre che mi dica: le regole sono queste. Il cellulare fino a 16 anni non ce l’hai. Io sono tuo padre”, afferma nel video. Il messaggio è netto: non spetta alla scuola o alle istituzioni stabilire i confini, ma ai genitori, che devono saper esercitare la propria autorità con equilibrio e fermezza.
Rievocando episodi della propria infanzia, il professore racconta i momenti di contrasto con il padre, quando veniva spento il televisore durante i pasti. “Io mi arrabbiavo, litigavo, dicevo voglio vedere la televisione. Ma lui diceva: no, io sono tuo padre e mi devi ascoltare.” Oggi, da adulto, riconosce in quei divieti un atto di amore e protezione, non di rigidità. Dire no, per Schettini, significa offrire una direzione, un riferimento stabile, anche a costo di affrontare l’incomprensione temporanea dei figli.

Il valore educativo del conflitto

Il cuore del discorso di Schettini sta nella capacità di resistere alla tentazione di cedere. Troppi genitori, osserva, cercano il consenso dei figli e temono il conflitto, finendo per rinunciare al proprio ruolo. Ma “cedere significa smettere di educare”. Ogni regola, ogni limite, è una forma di cura, un investimento sul futuro dei ragazzi. “Un giorno mi ringrazierai — dice Schettini — adesso mi odi, ma un giorno mi ringrazierai, perché io sono tuo padre.”
Nelle sue parole non c’è ironia, ma una richiesta di responsabilità collettiva. “Vi prego, lo dobbiamo fare per il bene dei figli. Noi vi vogliamo salvare.” È un appello che trascende la polemica tecnologica per toccare il cuore dell’educazione: restituire ai bambini il diritto di crescere lontano dalla dipendenza digitale, immersi nella realtà, nel gioco, nel contatto umano e nella creatività.

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