Sfida del soffocamento: dodicenne muore nel Regno Unito dopo una 'blackout challenge'

Minorenne muore per soffocamento dopo una sfida social. Il caso rilancia l'urgenza di educazione digitale e vigilanza su contenuti pericolosi per i giovani

03 luglio 2025 13:00
Sfida del soffocamento: dodicenne muore nel Regno Unito dopo una 'blackout challenge' - Nastro nero per lutto
Nastro nero per lutto
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Un ragazzo di 12 anni è morto nel Regno Unito dopo aver partecipato alla “blackout challenge” (morte per soffocamento), pratica pericolosa diffusa sui social. La tragedia rilancia l’urgenza di educazione digitale e vigilanza, anche da parte della scuola, contro i contenuti virali dannosi per i minori

Una sfida mortale, muore per soffocamento

Il 27 giugno 2025, a Castleford, nel Regno Unito, un ragazzo di appena dodici anni è morto per asfissia dopo aver preso parte alla cosiddetta “blackout challenge”, nota anche come “choking game” o “sfida dello svenimento”. La pratica, diffusa attraverso i social network, consiste nell’interrompere volontariamente l’afflusso di ossigeno al cervello fino allo svenimento, nel tentativo di provare una sensazione momentanea di euforia. Le autorità hanno escluso responsabilità penali, ma il fatto riaccende i riflettori sui rischi dei contenuti virali rivolti ai minori.

La pratica del soffocamento che ha fatto il giro del mondo

La “blackout challenge” non è un caso isolato: nel 2021, una bambina di 10 anni perse la vita a Palermo, in circostanze analoghe. Anche in Germania e negli Stati Uniti si sono registrati casi simili, con minorenni deceduti dopo aver tentato la sfida. Alcune famiglie hanno avviato azioni legali contro le piattaforme social, accusandole di aver favorito la diffusione di questi contenuti. In alcuni procedimenti, i tribunali hanno riconosciuto la responsabilità degli algoritmi, che avrebbero contribuito alla promozione di video pericolosi a bambini e adolescenti.

La questione della responsabilità

La tragedia di Castleford rilancia un interrogativo già aperto: quanto sono responsabili le piattaforme social nella diffusione di contenuti nocivi? Sebbene i gestori dei social media abbiano introdotto filtri e segnalazioni, molti contenuti riescono a eludere i controlli, anche attraverso forme camuffate. Secondo alcune sentenze, la natura algoritmica dei suggerimenti è parte del problema, poiché tende a proporre video sempre più estremi, soprattutto ai più giovani, che ne diventano facilmente vittime.

Un compito condiviso tra famiglia e scuola

La prevenzione non può più essere delegata solo ai genitori. È necessario un coinvolgimento attivo della scuola e delle istituzioni educative, che devono contribuire all’educazione digitale in modo strutturato. Il dialogo in famiglia resta fondamentale: i genitori devono monitorare l’uso dei dispositivi, parlare con i figli dei contenuti online e conoscerne i meccanismi. Tuttavia, solo un’alleanza educativa tra scuola, famiglia e società potrà davvero proteggere i minori da simili pericoli. La cronaca non lascia più spazio a esitazioni.